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Pensioni, tasse e disoccupati Ecco il vero orlo del baratro

Svelato l'inutile accanimento sui conti. Dal 2011 ogni indicatore economico è peggiorato e Renzi naviga a vista

Pensioni, tasse e disoccupati Ecco il vero orlo del baratro

Renzi va «un po' a vento», vale a dire a caso. Parola, off the record, della Corte costituzionale. E questa è l'opinione che le massime istituzioni hanno del governo del nostro paese. Ma sembra proprio vero, se il governo continua a proporre norme che non stanno in piedi. Si pensi, ultimissimo, al «reverse charge» dell'Iva, fortemente voluto dal ministro Padoan, appena bocciato dalla Commissione europea.

Di questo passo, con una tegola sui conti pubblici italiani ogni settimana, e senza neanche un euro di margine per far fronte alle emergenze, perché Renzi ha speso tutto con il suo bonus degli 80 euro, è difficile andare lontano. Ci troveremo tutti a «cucire l'orlo del baratro», come recita una canzone pop.

Già, l'orlo del baratro. Dove siamo ora, e non nel 2011. La sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni lo ha dimostrato. Quella sentenza, infatti, nasce dalle violenze e dalle forzature del governo Monti sull'economia, perpetrate partendo dal presupposto sbagliato che l'Italia fosse sul baratro. Con il Parlamento a stragrande maggioranza d'accordo, con la pistola puntata alla tempia dello spread. E oggi ne paghiamo il costo. Gli effetti di quella sentenza non sono, dunque, colpa della Corte, come è opinione troppo facile, diffusa nell'esecutivo. La Corte sta solo mettendo le cose a posto, sta svelando il complotto: quello intentato nell'estate-autunno del 2011, che alla luce dei fatti si sta rivelando una pura follia, che ha finito per uccidere l'Italia.

Normalmente le medicine curano le malattie, ma a volte si verifica il contrario, soprattutto quando le cure sono sbagliate, perché sbagliata è anche l'analisi. Accade in medicina. Ma si verifica anche in politica e in democrazia. E nel nostro caso il rischio è maggiore se il presidente del consiglio pro tempore è un tecnico, che non è passato per un vaglio elettorale. Non ha redatto un programma, né ha ottenuto il necessario mandato. Come appare chiaro, è il caso del governo Renzi, non votato dagli italiani, ma a onor del vero dal 2011 a oggi nel nostro paese di esecutivi non eletti ce ne sono stati tre. Prima di Renzi quello di Letta, e prima di Letta, lui: Mario Monti. Lui: l'origine dei nostri guai. Errori, quelli commessi dal governo dei tecnici del professore bocconiano, che stiamo ancora pagando. Tutti.

Se vogliamo capire i problemi di oggi dell'economia italiana bisogna partire proprio da Monti. A fine 2011, quando il governo dei tecnici si è insediato, l'economia italiana aveva fondamentali buoni, pur nella bufera generale. Nel 2010, per esempio, il tasso di crescita italiano era stato dell'1,7%, contro una media europea del 2%. Anche i dati della disoccupazione premiavano il nostro paese, con un differenziale a favore dell'Italia di quasi 2 punti percentuali (disoccupazione all'8,4% contro una media dell'area euro del 10,1%). Poi qualcuno ha deciso che Berlusconi doveva cadere.

Che cosa è avvenuto? Nel secondo trimestre del 2011, le banche tedesche, con capofila Deutsche Bank, hanno iniziato a vendere i titoli italiani che avevano in portafoglio per comprare bund tedeschi. Una scelta che fu un misto di speculazione finanziaria e politica. L'obiettivo di quella strategia a tenaglia era evidente: costringere Silvio Berlusconi alle dimissioni e, al tempo stesso, rendere impossibile l'eventuale ricorso a elezioni anticipate. Impensabili in una situazione di crisi finanziaria. Fu quindi steso, proprio dalla primavera-estate del 2011, il tappeto rosso a Mario Monti. Si pensava che potesse accompagnare l'operazione, usando la minaccia della crisi e quindi di contenere la speculazione facendo fuori una volta per tutte Berlusconi. Si verificò, invece, il contrario e cominciò anche una dura contrapposizione tra il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, deciso a contrastare la crisi con le opportune misure di politica monetaria all'americana, e la banca centrale tedesca, la Bundesbank, sempre in disaccordo e insensibile a ogni richiamo di solidarietà.

Il gioco però sfuggi di mano anche al governo tecnico, e a luglio 2012 gli spread erano ancora ai livelli dell'anno precedente. Diminuirono solo dopo che Mario Draghi, da Londra, si impegnò a fare di tutto per evitare l'implosione della moneta unica, che l'uscita della Grecia dall'euro avrebbe potuto causare. A riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, che il malato non era l'Italia. Sono i dati a confermare questa diagnosi. Poteva essere altrimenti? Quando il rigore diventa eccessivo, il malato è destinato a morire, invece che a guarire. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. L'economia italiana ne è uscita distrutta: il potenziale industriale del nostro paese decimato, l'edilizia in coma profondo, il valore del patrimonio immobiliare dimezzato e i pensionati alla ricerca di quel minimo di serenità che la loro età avanzata meriterebbe. Con relativa caduta dei consumi dell'intero ceto medio.

Su casa e pensioni, in particolare, si è manifestato il massimo dell'accanimento terapeutico montiano. La casa, bene primario, è stata tassata oltre ogni misura. Stesse scelte scellerate sono state fatte sulle pensioni, che con le riforme del governo Berlusconi erano già in equilibrio nel lungo periodo. Mentre la medicina sbagliata di Monti ha prodotto il disastro. Non che non si dovesse adeguare il regime pensionistico all'allungamento della vita media, ma vi poteva e vi doveva essere la necessaria gradualità nell'eliminazione delle pensioni di anzianità, come già si era fatto con il cosiddetto «scalone» Maroni, poi soppresso da Romano Prodi per venire incontro alle richieste della componente più massimalista della sua maggioranza di allora, e oggi riproposto da Matteo Renzi in campagna elettorale.

Invece che contrastare la speculazione, vera causa della crisi, il governo Monti ha distrutto l'economia italiana. Ha obbedito, in sostanza, ai poteri forti, piuttosto che pensare al bene del suo paese. E ne stiamo pagando ancora il conto. Se la Corte costituzionale e l'Europa intervengono per riportare un po' di ordine è perché qualcuno, da quel novembre 2011, ha sbagliato tutto, e continua a sbagliare. Non perché sbaglia la Corte, o l'Europa.

Tre governi non eletti ci sono costati, oltre all'aumento di quasi due punti della pressione fiscale; più di 4 punti di aumento della disoccupazione; il raddoppio della disoccupazione giovanile; 10 punti di aumento del debito pubblico; almeno il 30% di perdita di valore del patrimonio immobiliare; la svendita di migliaia di aziende italiane ad acquirenti esteri; l'impoverimento del ceto medio; il pericolo che i contratti derivati, stipulati dal Tesoro contro i rischi sbagliati, possano generare perdite per 40 miliardi di euro, oltre ai circa 10 miliardi di perdite già realizzate tra il 2012 e il 2014. In definitiva, la perdita di sovranità del nostro paese, ormai escluso da tutti i vertici che contano.

Quasi quattro anni di scelte sbagliate, con i costi che queste hanno comportato e che abbiamo visto, e con l'Italia che non è affatto uscita dal pericolo di una nuova speculazione. Anzi, siamo ancora più fragili e ancora più esposti di quanto non lo fossimo in quell'estate-autunno del 2011. Bisogna dirlo una volta per tutte: le cure sbagliate, dissennate, inutili hanno finito per indebolirci a morte. E di questo bisogna dire grazie a Napolitano, a Monti, Letta e Renzi, e a quanti li hanno colpevolmente assecondati, per paura, opportunismo o semplice ignoranza. Altro che baratro nel 2011.

Il baratro è adesso.

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