Politica

Il piano M5s-Pd: sabotare Salvini

Il piano M5s-Pd: sabotare Salvini

Alcuni in verità pochi - in quell'alveare impazzito e disattento che è il Parlamento hanno capito la valenza politica del punto fermo con cui la maggioranza giallorossa ha deciso di approcciarsi nel vertice dell'altra sera al confronto sulla legge elettorale: non ci saranno più i collegi maggioritari. In più, è molto probabile che venga fuori una legge proporzionale con soglia di sbarramento. Detta così a molti quella decisione dirà poco. Per i più avrà lo stesso significato recondito dei geroglifici egizi. In realtà è una rivoluzione che ridisegnerà lo scenario politico italiano, più o meno come l'introduzione di quel sistema di voto mezzo maggioritario che ne modificò la geografia 25 anni fa. Alla luce di questa decisione si comprendono le sortite misteriose di questi giorni di questo o quel leader politico. Ha un senso, a esempio, la frase uscita dalla bocca di Giggino Di Maio, su cui si interrogano da giorni i parlamentari grillini: «Noi saremo il nuovo partito socialista». Con il proporzionale, infatti, che si porta dietro una sorta di centralità grillina, Giggino sulla carta potrebbe allearsi sia con la Lega, sia con il Pd (lo ha già fatto in questa legislatura): in poche parole, riuscirebbe a salvaguardare quell'ispirazione «trasversale», che è nel Dna del movimento, e potrebbe accrescere il suo potere contrattuale. Si candiderebbe ad essere, è il suo sogno, il nuovo Craxi, un inedito di Ghino di Tacco. Una condizione di ago della bilancia che fa gola e che è l'ambizione di molti nel segmento politico «centrale». Mara Carfagna, ad esempio, non sbaglia quando dà una sorta di arrivederci a uno degli azzurri in procinto di passare con Italia Viva: «Se verrà fuori una legge elettorale proporzionale è naturale che si svilupperà un processo di attrazione, magari fino alla fusione, tra l'area liberal di Forza Italia e il partito di Renzi». Un nuovo soggetto centrale di peso, che punterebbe, ça va sans dire, anch'esso ad essere decisivo.

Ed ancora. Osserva Gianfranco Rotondi dall'alto della sua esperienza democristiana: «Il vero paradosso lo vivono quei trenta forzisti che hanno corteggiato fino allo sfinimento Salvini per strappare un collegio uninominale. Ora quei collegi saranno cancellati, non ci saranno più. Il Cav che io conosco, a questo punto, chiamerebbe Renzi e gli direbbe: Matteo verifichiamo quali sono le differenze che ci dividono, e troviamo un accordo». Ma tra ambizioni e velleitarismi la fotografia più esatta della situazione è quella di Matteo Orfini, piddino proporzionalista della prima ora: «Una legge elettorale proporzionale sarebbe l'unico motivo per cui avrebbe avuto senso dar vita a questo governo e tenere in vita questa legislatura. Una legge del genere libererebbe tutti: il Pd dalla necessità di inseguire i 5stelle; Forza Italia di stare sotto il ricatto della Lega. Ma, soprattutto, libererebbe il Paese dall'ipoteca di Salvini, che non sarebbe più il predestinato alla vittoria».

Appunto. La nuova legge elettorale ha come primo obiettivo proprio quello di mettere all'angolo Matteo S.. E il vertice leghista, che non è nato ieri, ne è consapevole. «Questa è un'operazione analizza il vicesegretario Lorenzo Fontana che punta a farci davvero male». L'ex viceministro dell'Economia, Massimo Garavaglia, si è già tuffato in una sorta di training autogeno. «Io spera confido in una vecchia regola: chi si inventa una legge elettorale contro qualcuno, la prende in quel posto». Ma che la fine dei collegi uninominali faccia venir meno quella centralità che il rosatellum aveva regalato alla Lega, lo hanno capito pure gli alleati del centrodestra, quelli che per essere eletti nei collegi sicuri del Nord dovevano conquistarsi fino ad oggi la benedizione di Salvini. «Per chi come lui è il principe dei collegi - osserva Walter Rizzetto, uomo di Giorgia Meloni in Friuli il problema è serio». Talmente serio che i due uomini di punta della Lega, il leader e Giancarlo Giorgetti, stanno tentando di trovare una strategia per vincere la madre di tutte le battaglie di questa legislatura. E, naturalmente, per perseguire l'obiettivo ognuno mette in campo la propria indole. Giorgetti ha lanciato l'idea di una costituente con un obiettivo preciso: «Per interdire un piano che punta ad emarginarci più o meno come la le Pen in Francia, dobbiamo cercare di sederci al tavolo delle trattative». Salvini, invece, al solito, punta ad un'operazione più militare: ha riaperto i canali di comunicazione con Di Maio e tenta di strappare alla maggioranza il numero di parlamentari necessario a stoppare l'operazione, specie al Senato. Non per nulla Ugo Grassi, professore di Diritto e senatore grillino, dopo aver flirtato con Renzi, sta per passare con la Lega. «Salvini - ha raccontato ai grillini più vicini mi ha fatto una proposta che non potevo rifiutare. So che ci sono altri 3-4 di noi che hanno avuto un'offerta simile».

À la guerre comme à la guerre. Già. Solo che le contromosse di Salvini rischiano di rivelarsi insufficienti visto che lo schieramento avversario è ampio. «Quella legge elettorale è il consiglio che offre Rotondi agli altri proporzionalisti è una legge da approvare il 23 dicembre: cotta è mangiata». Ora, naturalmente, quella del 23 dicembre è una boutade, ma intanto già tutta la maggioranza di governo si è presa l'impegno di incardinarla alla Camera entro il 18 dicembre. Anche perché la soluzione è semplice: sul tavolo, infatti, restano formalmente due proposte - una legge proporzionale con sbarramento al 5% e un'altra che prevede un proporzionale a doppio turno con premio di maggioranza ma in realtà tutti sanno che è una sola. «Sul doppio turno confida Federico Fornaro di Liberi e uguali c'è il niet dei grillini». Che hanno una posizione analoga a quella di Renzi: «Il proporzionale con sbarramento al 5% - spiega il leader di Italia Viva sarebbe perfetto». E al di là della soglia, che potrebbe passare al 4% per andare incontro alle richieste della sinistra, anche i piddini più pragmatici la pensano allo stesso modo: la modifica dell'attuale legge verso il modello proporzionale con sbarramento, richiederebbe, infatti, poche votazioni e, quindi, presterebbe il fianco a meno imboscate parlamentari. Basterebbe cancellare i collegi maggioritari e, dopo che sarà entrata in vigore la legge che riduce i parlamentari, accorciare le liste elettorali. Infine, modificare la soglia di sbarramento che il Rosatellum fissa al 3%. «Se incominciamo a parlare di doppio turno o di introduzione delle preferenze avverte il saggio Dario Franceschini allora si rischia di non fare più niente». Certo il doppio turno resta in linea teorica il sistema più caro a Zingaretti, e, magari, ad alcuni numi tutelari come Prodi e Veltroni. Solo che mantenere il Rosatellum è l'argomento che nel Pd utilizzano per convincere il segretario equivale a regalare la vittoria elettorale a Salvini. Una responsabilità troppo pesante anche per Zingaretti. Eppoi il proporzionale sta tornando di moda. Lo stesso giorno in cui il vertice della maggioranza giallorossa si accordava per cancellare a Roma i collegi maggioritari, l'agenzia Nova dava notizia che nelle stesse ore a Tblisi, nella sede del partito del Sogno georgiano, le forze di governo stipulavano un patto per tornare al proporzionale.

Come al solito, tutto il mondo è paese.

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