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Plebe sbianchettato, scomodo pure da morto

Plebe sbianchettato, scomodo pure da morto

Dunque la morte di Armando Plebe, per i giornaloni italiani, vale al massimo una notizia in breve. Anzi. Per alcuni non è neanche una notizia e quindi niente, neppure una stroncatura ragionata all'opera. Al filosofo di Alessandria è andata ancora peggio che all'antropologa Ida Magli, «gratificata» il giorno seguente la morte, da coccodrilli di poche righe in cui si suggeriva che, in fondo, fosse impazzita quando passò da sinistra a destra, ammesso e non concesso che nel suo caso queste categorie avessero senso, e prese a bombardare, in completa solitudine, quel sogno (incubo) chiamato Unione europea. Aveva posizioni originali, troppo per chi ritiene che il mondo inizi e finisca col marxismo e la Scuola di Francoforte arrivando al massimo ai teorici del politicamente corretto. Col marxismo e la Scuola di Francoforte, tra l'altro, Plebe aveva molto a che vedere, ma lasciamo stare. Il filosofo causò un enorme scandalo quando passò da sinistra a destra, da «comunista» a «fascista», usiamo questi termini solo per intenderci, e divenne compagno (camerata) di strada del Msi di Giorgio Almirante. Se ne discusse molto. Questo è un fatto. Plebe ebbe inoltre almeno due bestseller da 100mila e passa copie, cosa del tutto inconsueta per uno studioso di Aristotele. Anche questo è un fatto. Quando finì l'avventura corsara della militanza politica, la destra non fu più la stessa, come ha scritto Stenio Solinas ieri sul Giornale. E siamo al terzo fatto. I fatti si possono interpretare a piacimento, nei limiti del buonsenso, ma non si possono ignorare. Eppure, nel caso di Plebe, sono stati ignorati. Il motivo non lo sappiamo ma possiamo immaginarlo. Disprezzo per i «traditori». Invidia per chi scala le classifiche mentre i propri tomi non superano le 300 copie vendute. E poi, soprattutto, come si fa a sostenere che la destra è senza cultura di fronte a figure come Plebe? Meglio sbianchettare. Sbianchetta questo, sbianchetta quello, viene fuori un ritratto grottesco della cultura italiana, in cui interi filoni di pensiero sono cancellati da un conformismo opprimente e ripugnante. Lo stesso conformismo che ha condotto l'Italia a essere irrilevante in campo culturale. Solo il dibattito potrebbe tirarci fuori dalla palude, ma come si fa a dibattere se tutti belano le stesse opinioni e chi esce dal coro non esiste? Un tempo questi veti ideologici avevano (forse) una giustificazione storica, per quanto assurda e vigliacca. Il mondo però è cambiato.

Oggi sono soltanto assurdi e vigliacchi.

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