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Con Podemos e catalani Sánchez sarà premier: subito più tasse ai ricchi

Intesa trovata: evitato il quinto voto in 4 anni Il via dopo l'Epifania: dialogo con Barcellona

Con Podemos e catalani Sánchez sarà premier: subito più tasse ai ricchi

Madrid Con un ritardo esagerato e così inedito per la poco più che quarantenne democrazia iberica, abituata a un granitico bipartitismo, preciso e puntuale nel creare legislature durevoli, all'alba di ieri, l'alleanza Socialisti-Podemos (Up) è riuscita a strappare un prezioso accordo con la riottosa Sinistra Repubblicana Catalana e indipendentista (Erc). Non esiste nulla di stabilito e scritto, ma dopo l'Epifania, la Spagna avrà finalmente un governo, dopo uno stallo politico che perdura dal 2018.

Il premier ad interim socialista Pedro Sánchez, ormai al limite di un crisi di nervi, dopo un Natale trascorso tra negoziati e incertezze, ora accelera per arrivare a ricevere l'incarico dopo la votazione al Congresso. Con la rimozione dell'ultimo ostacolo, la diffidenza dei catalani nell'assecondare la sua nomina astenendosi dalle votazioni, ora i lavori dovrebbero procedere in modo più spedito, ma non alla velocità che vorrebbe Sánchez, frustrato di rischiare nuovamente di violare i tempi costituzionali e ricadere nell'incubo di una nuova e quinta tornata elettorale in quattro anni. Conquistata la fiducia dei catalani, non perderà la faccia davanti ai quei sei milioni di spagnoli che l'hanno preferito per ben due volta in meno di un anno, senza però, mai dargli la maggioranza assoluta, come avvenne, con José Louis Rodríguez Zapatero.

Infatti, con un numero di seggi da minoranza assoluta, Sánchez ha dovuto cedere al corteggiamento di Pablo Iglesias, ex alleato esterno che, però, a questo giro, ha preteso di entrare nella stanza dei bottoni, chiedendo la vicepresidenza e un paio di ministeri importanti. Ma, soprattutto, Sánchez ha dovuto sforzarsi di cercare il dialogo con Erc, quando Barcellona bruciava da tre settimane, sconvolta da una guerriglia urbana scatenata dalle dure condanne ai leader indipendentisti. Ha dovuto dialogare con chi, sulla carta è nemico del governo centrale di Madrid, cui non riconosce l'autorità. Un nemico che dal 2015 porta avanti, in modo unilaterale, il processo d'indipendenza, contro Stato e Costituzione, annaffiandolo con parole di odio e rivolta.

Ora il premier, uscente e rientrante, si aspetta da una manciata di deputati catalani il via libera alla sua investitura, in modo da far quadrare il bilancio generale dei seggi, sempre in minoranza, e formare il suo esecutivo «progressista e di sinistra». E già ieri sera, il leader del Psoe è apparso in diretta tv dalla Moncloa per darne un assaggino: sul tavolo l'aumento delle tasse ai redditi più alti (oltre i 130mila euro l'anno), alzare il salario minimo a mille euro, rivedere la riforma del lavoro dettata sei anni fa dalla Troika e affrontare la questione catalana con più dialogo e meno manganello.

Per arrivare all'accordo con Erc, Sánchez ha dovuto azzardare promesse, difficilmente realizzabili nel breve termine. Ma lui sa che ora l'importante è governare, chiudere questa barzelletta dei giri infiniti alle urne, pensare a cambiare la legge elettorale proporzionale (che incide a livello di circoscrizioni, non di risultato generale). È del 1976 e non è più adatta a una Spagna diventata frammentata e divisa.

Se l'accordo tiene, se i catalani non tradiscono, nel 2020 a Madrid si governerà.

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