Politica

La crisi risveglia la voglia di dittatura

L'indagine Demos2014 rileva che tra gli italiani si va diffondendo una certa "stanchezza democratica"

La crisi risveglia la voglia di dittatura

Non si fida dello Stato e neppure dei partiti. Non crede nell'Europa. È stanco di politica e politici e alla fine sostiene che la democrazia è solo un gioco di poteri e poltrone. È chiaro che ha paura del presente e non vede il futuro e così come ultima speranza ancora una volta aspetta, quasi messianico, l'arrivo di qualcuno che faccia il miracolo, squarci la crisi, metta a posto le cose. È la fiducia nell'uomo forte, nell'uomo della provvidenza. L'indagine Demos2014, narrata da Ilvo Diamanti, rileva che tra gli italiani si va diffondendo una certa «stanchezza democratica». Uno su tre comincia a pensare che, vista la situazione, non è peccato scommettere su un regime autoritario. È stanchezza. È paura. È voglia di certezze. È fame. È disperazione. È scelta. È visione del mondo. È cultura e ideologia. Quello che volete, ma è un numero che sta lì e torna sul tavolo della politica. È l'altra faccia di chi non vota, diserta le urne ed è così disilluso da starsene a casa o così incavolato da mandare tutti a quel paese. Tutti e due, chi spera nell'uomo forte e chi si tira fuori, non si aspettano nulla dalla democrazia.

Le crisi svelano il volto degli italiani. Torna l'istinto, riafforano tentazioni più o meno nascoste nel dna, riappare la nostra storia. Forse perché il passato ci resta dentro. È l'Italia guelfa e ghibellina che stanca di veleni e vendette cerca la pace affidando tutto il potere delle città a un signore, spesso un capitano di ventura, che nel suo nome assopisce guerre e libertà. È il sogno imperiale di Dante, che vede la sua Italia come una nave senza nocchiero in gran tempesta. È il ragionar politico di Machiavelli, che si innamora di Cesare Borgia e disegna su di lui l'abito del Principe. Il Principe come figura morale, che tiene a bada gli appetiti dei baroni feudali, schiaccia le oligarchie e realizza il sogno dell'Italia unità, senza le scorribande dello straniero di turno.

Strana razza gli italiani. Faticano a credere in se stessi e negli altri. Qui il sogno americano puzza sempre di losco: figurati se ha fatto tutto da solo! Quando tutto va più o meno bene si confrontano con il potere come clientes. Non facciamoci illusioni per noi la democrazia è stata , purtroppo, soprattutto questo. «A Fra' che te serve?». Questa domanda rassicura. Poi ci sono quelli che con sguardo moralistico pretendono di cambiare il carattere degli italiani. Si lamentano, come fece Mario Monti, che non assomigliano ai tedeschi. C'è chi si affida alla variabile estera. Allo straniero, quello che arriva da oltre le Alpi. Non importa se indossa il pastrano di Napoleone o il vestito grigio di Bruxelles. L'idea è che certi risultati si possono raggiungere solo se ci vengono imposti dall'esterno. Ognuno così di fronte all'orizzonte senza speranza si sceglie il suo feticcio di provvidenza: l'uomo forte, lo straniero, l'utopia della rivoluzione, l'anarchia del non voto, la fuga o il ritorno a casa. Queste scelte hanno in comune lo scetticismo nei confronti del Parlamento, dei partiti, della democrazia.

È la ricerca dello straordinario, di qualcosa che ti porti via dalla melma in cui stai sprofondando. È la poca convinzione che qualcuno di quei signori vestiti da classe dirigente sappia davvero cosa fare. Ci vuole un volto, qualcuno che incarni la speranza, magari anche con un certo talento per il melodramma o con un curriculum da avventuriero. La speranza è lo sbarco impossibile di Garibaldi, non importa se strumento inconsapevole delle arti politiche e diplomatiche di Camillo Benso conte di Cavour. L'uomo forte è quel giornalista rivoluzionario che si spoglia del rosso e veste il nero per chiudere con una marcia su Roma la stagione giolittiana. È quell'Italia che nel dopoguerra si riconosce nel «partito novello principe» teorizzato da Gramsci e reso reale da Togliatti, tanto da avere proprio qui in Italia il partito comunista più forte e votato d'Europa.

Questa che torna nel 2014 è insomma una vecchia storia. Il sospetto è che gli italiani diano ragione al monologo di Dostoevskij del Grande Inquisitore. L'uomo in genere non vuole la libertà, ma il pane. Non vuole l'incertezza. Non vuole svegliarsi ogni mattina con il tormento di doversi inventare qualcosa per sopravvivere. Non sopporta la precarietà. Non regge il peso della scelta. Ci vuole coraggio, ma in Italia il coraggio quasi sempre viene pagato con cattiva moneta. È tartassato. È visto male. È frenato dalla burocrazia. Non conviene. Meglio delegare tutto il peso su uno solo, l'uomo della provvidenza.

E in fondo se poi fallisce si fa presto a sputargli addosso.

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