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Psicodramma sul Dl Dignità: ora si rischia un altro rinvio

Scontro tra alleati in commissione su voucher e contratti. Ma il vicepremier M5s: dinamiche normali

Psicodramma sul Dl Dignità: ora si rischia un altro rinvio

Un caos indescrivibile, un clima surreale. È questo l'unico modo per descrivere quanto accaduto ieri durante l'esame del decreto Dignità nelle commissioni riunite Lavoro e Finanze ella Camera. In pratica non si è concluso nulla fino a sera con due lunghi stop imposti dai relatori di maggioranza per cercare una quadra. Quasi dieci ore di dibattito persi sull'articolo 1 che limita la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato a 24 mesi. Le richieste dell'opposizione sono state in gran parte respinte tranne un emendamento Pd che aumenta l'indennità di licenziamento illegittimo in sede di conciliazione. La proposta di modifica innalza l'indennità a un minimo di tre mensilità e un massimo di 27 rispetto agli attuali tetti di due e 18 retribuzioni mensili.

Ieri l'attenzione si è però concentrata sull'allungamento al 2020 della decontribuzione per i contratti a tempo indeterminato accompagnata a un regime transitorio per l'entrata in vigore della stretta sui contratti a termine. In particolare, si sta lavorando per allargare fino ai 45enni (attualmente valido fino a 35 anni) lo sgravio contributivo, ma limitatamente alle regioni del Sud. Nessuna intesa, invece, sui voucher. Il motivo è presto detto: Lega e M5S non sono d'accordo tra loro. Ecco perché l'approdo in Aula all'inizio della prossima settimana appare ancora avvolto dalle nebbie.

Il ministro del Lavoro, Luigi di Maio, ovviamente, cerca di minimizzare. «Tutto procede secondo il cronoprogramma, sono le normali dinamiche parlamentari», ha commentato ribadendo che «se è stata fissata la prossima settimana la votazione, non ci sarà bisogno di fiducia». A questo proposito il vicepremier pentastellato ha anche rintuzzato le critiche degli imprenditori del Veneto sottolineando che «chi vuole fermare il decreto sappia che deve passare sul mio corpo». Secondo Di Maio molte critiche sarebbero sostenute dalle «lobby delle delocalizzazioni e del gioco d'azzardo».

Discorso diverso per Matteo Salvini che, in quanto leader del centrodestra, ha dovuto in qualche modo tenere botta a Silvio Berlusconi, che gli ha chiesto di bloccare il provvedimento. In un incontro casuale alla Camera i due avrebbero parlato essenzialmente della situazione in Veneto. Il Cavaliere gli avrebbe chiesto se i suoi consiglieri regionali fossero tranquilli. «Più tranquilli del tranquillo», avrebbe replicato. Anche Fratelli d'Italia incalza la Lega e lunedì Giorgia Meloni sarà a Verona per ascoltare le aziende. «Il decreto ripropone la lotta di classe, l'interesse nazionale si fa con l'unità delle forze produttive», ha dichiarato Meloni auspicando una revisione del testo.

E la Lega nella roccaforte veneta sta cominciando a spaccarsi proprio sul decreto dignità. Il segretario della Liga Veneta, Toni Da Re, si è scagliato contro le proteste degli industriali di Padova e Treviso liquidandoli brutalmente. «Agli industriali interessano solo i soldi, qui l'impresa fa politica, non ricordo uscite di questo tipo con Renzi e Gentiloni», ha detto. Tesi opposta a quella dell'assessore regionale leghista Roberto Marcato che si è dichiarato disponibile a raccogliere le istanze degli imprenditori e a portarle al ministro Di Maio per «migliorare il decreto». Marcato è il principale concorrente di Da Re alla segreteria veneta.

E il Carroccio ben presto dovrà scegliere.

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