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Ma quale "Contratto". Il Vangelo del governo è vago e non impegna

"Valutare" la Tav, "riformare" la giustizia. Tutti lo invocano, ma è una lista di intenzioni

Ma quale "Contratto". Il Vangelo del governo è vago e non impegna

«Abbiamo firmato un contratto di governo che va rispettato da entrambi i contraenti», dice Gigino Di Maio. «Il contratto di governo è sacro e vale per tutto quello che contiene», dice Matteo Salvini.

Il contratto di governo è il mito fondativo dell'esecutivo gialloverde, la Sacra Bibbia su cui leghisti e grillini hanno giurato al momento del fidanzamento, le tavole della legge. Questo all'alba radiosa del governo: più recentemente, si sono trasformate nel corpo contundente che vicepremier e comprimari si sbatacchiano sul cranio mentre litigano su ogni singolo punto in agenda.

Prendete il caso prescrizione: «Sta nel contratto di governo, quindi va fatto», strillano il ministro della Giustizia Bonafede e i suoi compagni grillini. «Ma non credo sia scritto nei termini proposti dai relatori della legge anticorruzione», obietta il leghista Giorgetti. E Salvini, di rincalzo: «La riforma della prescrizione è nel contratto e la faremo», ma non certo «con un emendamento presentato dalla sera alla mattina». E dire che il «contratto», che poi è l'equivalente di un banale programma di coalizione, fu sbandierato come la rivoluzione copernicana della politica mondiale. E che si spingeva fino a prevedere un bislacco (e anticostituzionale, fecero notare in molti) organismo, il Comitato per la Conciliazione, chiamato a dirimere eventuali controversie votando a maggioranza dei due terzi. Le controversie si moltiplicano, ma l'organismo è nel frattempo svanito nel nulla.

Anche perché quel benedetto «contratto», un noioso papiello assai prolisso - che stilisticamente sembra uscito da una di quelle inconcludenti assemblee studentesche degli anni 70 sul 18 politico e la lotta al capitalismo - illustra dettagli e buoni propositi su temi non esattamente prioritari, come il «bike sharing» o «lo spettacolo dal vivo», ma sulla maggior parte dei punti concreti è estremamente vago, e dice tutto e il contrario di tutto. Ad esempio, al punto «Giustizia»: «È necessaria una efficace riforma della prescrizione dei reati», punto. Come, quando, chi, perché: niente di niente. Fuffa purissima.

Il farraginoso testo si dilunga invece nei particolari di quelle che sono le bandierine elettoralistiche di Lega e Cinque stelle, come flat tax (che però è stata rinviata sine die), o reddito di cittadinanza. E qui casca l'asino, perché il primo a violare il mitologico contratto di governo è proprio il governo medesimo: verranno erogati «780 euro per persona fisica», e «a tal fine saranno stanziati 17 miliardi annui», più «2 miliardi ai centri per l'impiego», sta scolpito nel marmo del Contratto. Peccato che nella manovra siano previsti - forse - solo 9 miliardi, di cui però 2,2 per programmi dei precedenti governi contro la povertà. E che quei 780 euro siano solo la cifra da «integrare» nel caso in cui si conti su un reddito inferiore.

«Non entro nel merito delle cifre», ha prudentemente messo le mani avanti Conte. Di Maio invece assicura che «la ciccia» c'è, ma certo non è il bel bisteccone promesso in campagna elettorale: al massimo una polpettina. E pure un po' avvelenata: dalle baruffe tra alleati e dai continui annunci che contraddicono quelli precedenti, appare chiaro che nessuno ha idea di come quel fondamentale capitolo del «contratto» verrà poi articolato e realizzato: in poche settimane si è passati dalla carta di credito speciale su cui caricare il reddito (o forse la tessera sanitaria, o anche il Bancoposta) alla lista delle «spese morali» consentite e quelle immorali non consentite (niente Unieuro, vino o cioccolata) fino ai «sei anni di carcere» minacciati da Gigino per chi intascasse abusivamente il reddito, e poi amnistiati. Estrema vaghezza anche sulle Grandi opere: «Dopo attenta analisi dei costi/benefici (...) si adotteranno le opportune decisioni». C'è però un punto chiaro: «Sul Terzo valico ci impegniamo a completare l'opera». Peccato che Toninelli la abbia sospesa e il M5s abbia votato contro in Liguria. Livelli spettacolari invece sulle nomine Rai: «Verrà eliminata la lottizzazione politica e promossa la meritocrazia». E infatti: Tg1 al grillino, Tg2 al leghista, e l'autore culinario della Isoardi in pole per dirigere una rete.

A norma di «contratto».

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