Cronache

Quarant'anni dopo la tragedia di Alfredino bimbo cade in un pozzo: salvato dai pompieri

Finale con lieto fine. Ecco cosa ci hanno insegnato gli errori di Vermicino

Lo stesso buco nero a livello del terreno. Invisibile. Che pare lì solo per ingannare un bambino. E risucchiarlo nelle sue tenebre. Ieri a Roma si è rivissuto per un attimo (ma, fortunatamente, solo per un attimo) il dramma di Vermicino.

Un bimbo che finisce nel pozzo. Impossibile non pensare all'incubo di Alfredino Rampi, 6 anni, che il 13 giugno 1981 morì senza che i soccorritori riuscissero a tirarlo fuori da un fosso lungo e stretto come un serpente. Lì dentro era caduto tre giorni prima e quando scattò l'allarme tutti si convinsero che di lì a poco avrebbe rivisto la luce. Esattamente come accaduto ieri al bimbo di tre anni di Roma che, dopo un rapido ed efficace intervento dei vigili del fuoco, lo hanno restituito all'abbraccio della mamma. Un lieto fine. Una gioia per tutti.

Con Alfredino non andò così. In mezzo ai due episodi corrono 40 anni di differenza: ogni anno è un mattone che separa l'Italia di ieri da quella di oggi.

Quale dei due stessi Paesi sia migliore o peggiore è difficile dirlo. Ma il timore è che si tratti di una gara al ribasso.

Forse non tutti sanno che durante le fasi della miserevole non-stop televisiva con cui milioni di telespettatori seguirono «in diretta» l'agonia di Alfredino, ci fu un attimo in cui il piccolo Rampi, attraverso un microfono che un giornalista a caccia di scoop aveva calato nel pozzo (sì, si arrivò anche a questo), disse tra le lacrime: «Vi prego, smettetela». Alfredino, imprigionato sotto terra, era riuscito infatti a rendersi perfettamente conto del caos che regnava sopra la sua testa: una confusione vergognosa a base di incompetenza e protagonismo; un mix angosciante ben rappresentato dall'approssimazione dei soccorritori e dall'ego paternalistico del presidente Pertini interessato a «sentire la voce di Alfredino».

Da allora ad oggi il mondo è cambiato e quegli stessi pompieri, impotenti a Vermicino, sono riusciti ieri a salvare in quattro e quattr'otto il «gemello» minore di Alfredino.

Una disavventura cominciata con un pauroso volo in un tombino mentre il piccolo stava giocando a pallone vicino casa, in via Stefano Borgia; un pozzetto inspiegabilmente privo di copertura, tanto che la Procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine e posto sotto sequestro l'area dove è avvenuto l'incidente.

I vigili del fuoco l'hanno estratto in meno di un'ora di lavoro: il piccolo era impaurito ma in buone condizioni, solo qualche escoriazione curata all'ospedale Gemelli. Se tutto è andato a buon fine il merito è anche dell'era «post-Vermicino», quando dopo il flop dei soccorsi (l'anno prima era accaduta la stessa cosa con il terremoto dell'Irpinia) lo Stato capì che bisognava organizzare una struttura specializzata, e così si misero le basi della Protezione civile.

Ma la civiltà di un Paese non si vede solo dall'efficacia dei soccorsi, ma anche dalla sensibilità umana e morale di chi gestisce i mezzi di comunicazione e di «intrattenimento» televisivo.

L'aver realizzato, ad esempio, una «fiction» dedicata alla tragedia di Vermicino, non sembra andare in questa direzione. E ricorda tanto quel poco onorevole microfono calato nel pozzo artesiano per catturare l'«audience» determinata dall'ultimo rantolo di Alfredino.

Il suo monito - «Vi prego, smettetela» - resta attuale come non mai.

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