Cronache

A quattro zampe contro l'anoressia

La storia di Aurora, un golden retriever che sta aiutando una quindicenne milanese a uscire dall'inferno

A quattro zampe contro l'anoressia

Milano - Aurora si siede puntuale davanti a scuola e aspetta paziente. Lei è in classe che aspetta lo squillo della campanella. La vita è diventata un po' più facile da quando sa che fuori c'è lei che la aspetta. Ha quindici anni eppure l'inferno gli è già caduto addosso. Gli anni peggiori dell'anoressia sembrano essere passati. Una malattia che ti mangia addosso, che lo specchio no, non è quello il problema. Il problema è dentro. È piuttosto la perfezione da raggiungere, la voglia di fare le cose da ottimo, al massimo delle forze sempre. A scuola come nel pattinaggio.

I voti altissimi e le medaglie, prima della classe e campionessa regionale di pattinaggio artistico. Studiare ore e ore e saltare ancora più in alto, la leggerezza, l'armonia, le selezioni per la nazionale sono a un soffio che la sfiorano e basta. La passione diventa ossessione, idea fissa di dare il massimo.

Cadere è un attimo. Il difficile è alzarsi. Il cibo come forma estrema di controllo, mangiare sempre meno, il ricovero, i mesi in ospedale, strazianti, bui e orrendi. Gli esami di terza media fatti dall'ospedale eppure superati in modo eccellente. Come sempre, del resto. La sofferenza è dentro, buttata giù, in fondo. La vedi solo perché ti grida in faccia tutta la sua magrezza. Per il resto l'apparenza è quella di una ragazza che a scuola non da problemi. La migliore.

Venticinque chili è il limite ultimo. Il baratro. Da lì si risale o si muore. E così, un pomeriggio di dicembre la ragazza e la madre in giro per le vetrine del centro cittadino vedono una locandina. «Onlus Carolina, Attività e Terapie Assistite con Animali». Sarà per il nome così dolce, sarà che qualcosa vibra nei loro occhi e che una scintilla si accende. Insieme decidono di chiamare. «Non so neppure bene io perché l'ho fatto. Istinto o disperazione cambia poco, ricordo che ci siamo guardate negli occhi e siamo state d'accordo», racconta con la voce commossa la mamma. «Mi sono aggrappata a quella speranza e basta, anche se sapevo bene che mia figlia ha sempre avuto paura dei cani».

Ma Aurora è un cane speciale. Un golden retriever di due anni e mezzo, poco più che un cucciolone color champagne arruolato nel gruppo pet therapy con una pazienza da premio e una marcia in più. La dolcezza che non si insegna ma si porta dentro come un talento naturale, quella discrezione. È come se Aurora sapesse che con la ragazza serve delicatezza. Si studiano, si fiutano. La ragazzina e il cane e un rapporto unico che nasce.

«Raccontato oggi sembra il nostro piccolo miracolo di Natale». Lei è giovane e ferita. Aurora che non giudica, che aspetta paziente e c'è. È amore e consolazione insieme, l'umore di lei che cambia. «Ha passato giorni terribili. Mia figlia ha un sondino naso gastrico che la alimenta di notte. Le compagne di classe delle medie l'hanno isolata, la guardavano e bisbigliavano. Le madri che mi hanno snobbato. Può immaginare quanto deve essere stato difficile per lei?».

Aurora è un raggio di sole dopo l'inverno della solitudine. I giorni, le settimane, i primi azzardi sono carezze quasi di nascosto. Allungare la mano, fidarsi è un ostacolo enorme per questa ragazzina fragilissima. Eppure non molla. Aurora resta con lei, la va a prendere a scuola con l'accompagnatrice, tutti i giorni. Costante, stabile. Per la ragazza è l'ancora in mezzo a un mare buio. Le carezze diventano prima abbracci e poi passeggiate con il guinzaglio. Un giro da sole, come una ragazza qualunque con il suo cane. Un traguardo che nessuno osava sperare in così poco tempo. I medici per primi erano scettici. Loro non credono nella pet therapy. Per una paziente come lei preferirebbero orientarsi sul supporto esclusivo di psichiatri. Hanno paura che sia inutile, o forse troppo presto.

E invece Aurora ce la fa. In tre mesi i progressi sono evidenti. Visibili. L'ultimo gesto che commuove tutti è il più bello. «Mia figlia le ha voluto offrire un biscottino», racconta la mamma. Il cibo che non è più veleno, che non fa più così male.

È questo il piccolo prodigio di Aurora.

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