Cronache

Quei casi di malagiustizia all'italiana dove il buonsenso è calpestato dal diritto

Appigli burocratici o sconti di pena. E i criminali beffano le nostre leggi

Quei casi di malagiustizia all'italiana dove il buonsenso è calpestato dal diritto

A volte sembra paradossale dirlo, ma oltre alla legge c'è anche il buonsenso. E qui in Italia accade spesso che lo si perda per applicare pedissequamente, o forzosamente, delle norme che stridono con la sicurezza, la convivenza civile e la tranquillità sociale. Come il caso di Ragusa, che è ormai uno scandalo, dove un immigrato illegale ha rapito su una spiaggia una bimba ma è stato subito scarcerato perché il reato non è stato consumato completamente. Insomma, l'ha sequestrata, sì, ma solo per pochi attimi e quindi può tornare comodamente in libertà. A parte il fatto che, se uno compie un rapimento, riuscito o meno, il reato c'è, ma non solo, c'è anche il pericolo che ci riprovi. Ma il pm di Ragusa la pensa diversamente. Ahinoi, non è l'unico. Quante volte abbiamo già assistito a decisioni che, seppure dubbie ma in fil di giurisprudenza, ci hanno fatto gridare all'ingiustizia, alla mancanza di buonsenso. La bibliografia è inesauribile, eppure nel nostro Paese accade di continuo, per delitti clamorosi o per reati minori, sembra non ci sia non solo certezza della pena ma neppure chiarezza nell'applicazione della legge.

Com'è successo lo scorso dicembre con la ricercatrice libica Khadiga Shabbi, arrestata dalla Digos di Palermo ma rilasciata dai giudici. La donna era accusata di essere collegata ai foreign fighters e a gruppi integralisti islamici, dei quali aveva diffuso su Facebook la propaganda, inneggiando anche a un parente che era morto combattendo per la jihad. Per i Gip di Palermo, la Shabbi non era accusata di azioni terroristiche vere e proprie o di associazione terroristica, ma soltanto di un reato di opinione. Si rischia «di creare nell'opinione pubblica un allarme ingiustificato», è stata la motivazione del giudice.

Vogliamo ricordare l'omicidio del piccolo Emanuele Di Caterino, lo studente ucciso a coltellate tre anni fa ad Aversa? Il suo assassino, Agostino Veneziano, seppure condannato in primo grado a 15 anni per omicidio volontario, è da tempo in libertà per decorrenza termini. Il processo di Appello avanza di rinvio in rinvio, e il killer, che ha ucciso per futili motivi, è libero di circolare sotto gli occhi dei genitori della vittima a causa della lentezza della macchina giudiziaria, che non lo ha mai ritenuto pericoloso socialmente.

Ma a volte ci sono anche sentenze che, seppure formulate nel rispetto della legge, fanno ribollire il sangue. Uno dei casi di cronaca più emblematici degli ultimi anni è stato sicuramente quello di Ruggero Jucker, che nel 2002 a Milano assassinato brutalmente la fidanzata, Alenya Bortolotto, gridando «sono Bin Laden». Dopo aver fatto a pezzi la ragazza col coltello, le ha anche asportato degli organi, poi si è lavato ed è uscito nudo per la strada. Ebbene, grazie al patteggiamento ha evitato l'ergastolo ed è stato condannato a 16 anni. Ma dopo 10 anni, un uomo pericoloso socialmente è tornato di nuovo libero grazie alla buona condotta e agli sconti di pena.

E di assassini o di killer mafiosi in libertà ce n'è una sfilza, perché se è vero che i tribunali sono intasati da inchieste e udienze, è altrettanto vero che non dare la precedenza a certi processi produce il solo risultato di rimettere in libertà persone pericolose. Com'è successo a Reggio Emilia, dove Ivan Forte, che nel 2013 ha ucciso la sua giovane compagna Tiziana Olivieri, è stato liberato perché erano scaduti i termini della carcerazione preventiva. O come è accaduto a Torino, dove il superkiller pentito del clan dei catanesi, Salvatore Parisi, che ha confessato 22 omicidi, è stato scarcerato nel 1990 sempre per decorrenza termini.

Eppure, molto spesso vengono ritenuti pericolosi socialmente dei gioiellieri, dei tabaccai o dei semplici cittadini che hanno difeso il negozio o la casa e la famiglia con le armi contro dei rapinatori.

E così siamo costretti ad assistere, nostro malgrado, a decisioni senza senso ma politicamente corrette.

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