Guerra in Israele

"Quei cortei incitano al terrorismo"

L'imprenditore, console di Israele, ha denunciato in Procura i cori antisemiti di Milano

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Marco Carrai è un imprenditore e manager. Il suo nome è balzato agli onori della cronaca quando Matteo Renzi era a Palazzo Chigi e Carrai era considerato uno dei consiglieri più ascoltati dall'allora premier. Ma l'uomo d'affari fiorentino, dal 2019, è anche console onorario di Israele per Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. È in quest'ultima veste che oggi presenterà una denuncia per apologia di terrorismo alla Procura di Milano dopo i cori pronunciati durante la manifestazione pro-Palestina andata in scena sabato nel capoluogo lombardo. «Apriteci i confini così possiamo uccidere i sionisti, gli ebrei», hanno inneggiato in arabo alcuni manifestanti. «Questa non è libertà ma è incitamento al terrorismo», dice Carrai a Il Giornale.

Perché è necessario ricorrere alla magistratura dopo i cori di sabato a Milano?

«Perché ormai da troppo tempo stiamo assistendo ad attività di istigatori al terrorismo. Le premetto che anche io sono a favore di due popoli e due Stati e sono a favore della pace. Ma è tutt'altra cosa un'organizzazione come Hamas, che il 7 ottobre ha organizzato rastrellamenti contro gli ebrei, proprio come facevano i nazisti. Quindi una cosa è la libertà d'espressione, un'altra cosa è il liberticidio. Quando si dice apriamo i confini e andiamo a uccidere gli ebrei non si tratta di libertà di parola ma di incitamento al terrorismo».

Nelle ultime settimane gli episodi di odio si sono moltiplicati.

«È un crescendo, purtroppo. Ci sono state bandiere israeliane bruciate, ci sono state persone che sputavano sulla bandiera israeliana. Ci sono state anche offese personali, una delle più gentili che ho ricevuto è stata ti appenderemo a testa in giù. Detto ciò, non si può confondere la questione israelo-palestinese, che è una questione politica, con un'organizzazione terroristica. Guardi, è come se qualcuno, durante gli anni di Piombo, dopo l'omicidio di Aldo Moro o di altre personalità fosse sceso in piazza per sostenere le Brigate Rosse».

O per solidarizzare con Al Qaeda dopo l'11 settembre

«Immagini se allora fosse accaduta una cosa del genere. L'attacco del 7 ottobre, in proporzione alla popolazione israeliana, è come se al Bataclan fossero state uccise 21mila persone anziché 130. È come se alle Torri Gemelle fossero state uccise 121mila persone anziché 2996. Non è più tollerabile permettersi di dire che si può andare a cacciare gli ebrei a uno a uno».

Perché quando la vittima è Israele la solidarietà non è mai unanime?

«Mi chiedo cosa ancora dobbiamo aspettare per condannare queste persone in modo secco. Israele è uno stato democratico e anche io ritengo che debba agire nel rispetto del diritto internazionale. Ma perché non abbiamo fatto la stessa domanda agli Usa dopo l'11 settembre o perché non ce la siamo fatta dopo il Bataclan o dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia?»

Le rifaccio la domanda: perché con Israele è diverso?

«Perché c'è un retropensiero ancestrale contro gli ebrei. Dopo il razzo all'ospedale di Gaza per questo motivo tutti hanno subito attaccato Israele senza fare un minimo di verifica».

Lo hanno fatto anche alcuni politici italiani, come Nicola Fratoianni

«È un riflesso incondizionato, anzi molto condizionato. Il dibattito politico in Italia è infimo perché si seguono i social network. Dovremmo prendere esempio dalla Germania, dove il cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato l'esistenza di Israele come ragion di Stato».

Come mai questo riflesso scatta spesso a sinistra?

«Forse alla radice di ciò c'è l'etichetta storicamente e falsamente appiccicata agli ebrei di popolo a capo di una lobby occulta che governa la finanza mondiale».

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