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Rai3 diventa garantista e manda in soffitta la gogna mediatica

Dopo anni di processi in tv, la malagiustizia sbarca in prima serata. "Basta colpevolismo"

Rai3 diventa garantista e manda in soffitta la gogna mediatica

«Ho baciato la terra e ho ringraziato Dio. Dicevo a mio figlio, in macchina, ma quanto corri?. Papà sono a 50 km all'ora. Un anno di carcere ti fa perdere le misure, il profumo dell'autunno. Là questo non c'è».

«Là» è la cella dove Diego Olivieri, imprenditore vicentino, ha vissuto 365 giorni da innocente. E le parole con cui ricorda la fine di quell'incubo hanno aperto la prima puntata della nuova trasmissione su Rai Tre, che manda in soffitta un ventennio di giustizialismo in prima serata.

Il format condotto dal giornalista e volto del Tg1, Alberto Matano, per la prima volta accende le telecamere sul rovescio della medaglia. Quello che dà voce, con ricostruzioni, immagini e documenti, all'inferno di chi finisce nel vortice della malagiustizia, un girone da 24mila dannati in 24 anni. E che sul terzo canale - dopo la parentesi di «Presunto colpevole», seconda serata su Rai due nel 2012 - porta le «storie di uomini, donne, che sin da primo momento hanno gridato una cosa sola: sono innocente», proprio come il titolo del programma. Sotto i riflettori dell'inedita prima serata non ci sono più i processi giudiziari e mediatici che per 35 anni hanno fatto il successo di programmi come Un giorno in pretura, che hanno gonfiato lo share viaggiando sul confine sottile tra informazione e morbosità, offrendo in pasto al pubblico atti, testimonianze, alimentando spesso dibattiti autoreferenziali. E che hanno trascinato le aule di giustizia nei tribunali televisivi. Nel richiamo dell'Agcom a Michele Santoro per una puntata di Annozero nel 2008, l'Authority spiegava che «il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare. L'informazione non può diventare gogna mediatica né spettacolarizzazione ispirata più all'amore per l'audience che all'amore per la verità».

Ora tocca alle storture del sistema, agli ingranaggi che si inceppano e inghiottono esistenze che passavano di là per caso. In studio con Matano ci sono non solo i protagonisti, ma anche i loro familiari, gli avvocati che hanno lavorato per smontare accuse piovute come massi da faldoni di ordinanze di custodia cautelare. In una corsa contro il tempo per dimostrare la verità. La stessa che può venire oscurata, travisata da un' intercettazione, da una parola che genera equivoci, da una dichiarazione di un pentito. Come quella per cui Olivieri è stato accusato per 5 anni ingiustamente di riciclaggio, associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti, prima di essere assolto perché «il fatto non sussiste». O da un maledetto scambio di persona, all'origine dell'altro caso raccontato nella puntata di sabato sera, per cui una studentessa, Maria Andò, nel 2008 finì in carcere per 9 giorni, indagata per rapina e tentato omicidio, salvo poi, dopo un anno, essere assolta con tante scuse: «Il maresciallo era convinto che fossi io il colpevole, che il caso fosse chiuso». La madre Giusi si sentì dire che «sua figlia stasera dormirà in carcere», al Pagliarelli di Palermo.

«Vivere l'esperienza del carcere può cambiare la vita - ha esordito Matano presentando la prima serata - Soprattutto se non si è colpevoli. Non vogliamo fare il processo al processo, né cercare una nuova e diversa verità giudiziaria, semplicemente vogliamo raccontare delle storie». Anche perché «davanti a certi casi serve più prudenza e meno fretta di sbattere il mostro in prima pagina: soprattutto negli ultimi anni in Italia si abusa di colpevolismo». Forse è la fine di un'era.

Almeno di un'era televisiva.

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