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Renzi adesso batte in ritirata. In Libia neppure un soldato

Il premier teme di perdere consensi e rinuncia al contingente. Gentiloni a Vienna: "Nessun intervento straniero, proteggeremo soltanto la nostra ambasciata"

Renzi adesso batte in ritirata. In Libia neppure un soldato

Il premier Renzi non vuole aprire l'ennesimo fronte. Sono già tanti quelli interni che preferisce non andarsene a cercare un altro dall'altra parte del Mediterraneo. E si sfila dall'intervento in Libia per timore che la presenza dei nostri soldati a Tripoli possa contribuire alla perdita di consensi che lo preoccupa sempre di più ogni giorno che passa.

L'Italia, dunque, non fornirà militari per la protezione della sedi dell'Onu in Libia come era stato chiesto dalle Nazioni Unite, ma si limiterà a predisporre dei piani di protezione per la propria sede diplomatica a Tripoli che dovrebbe riaprire nei prossimi mesi. Lo ha confermato ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni al termine della conferenza di Vienna sulla Libia per coordinare gli sforzi internazionali a sostegno del governo riconosciuto di Fayez Serraj. Un intervento diverso, del resto, sarebbe stato troppo pericoloso per le nostre truppe, ma soprattutto per la stabilità del governo che non intende bruciare consensi su un tema tanto delicato, con le elezioni alle porte - dove il Pd quasi certamente non sarà al ballottaggio a Napoli e rischia di non andarci neppure a Roma - e il partito spaccato per la questione morale dopo le ultime inchieste della magistratura. Il premier, già alle prese con gli ultimi sondaggi sfavorevoli e con un crollo della fiducia nei suoi confronti, non ha proprio bisogno in questo momento di un intervento militare in uno scenario «difficile» come quello libico. Gli servono voti, non soldati all'estero, con tutti i «rischi» del caso. Soprattutto ora che, dopo aver scommesso tutto sul referendum costituzionale, l'ultimo sondaggio Ixè dava per la prima volta i «no» in vantaggio. Così, in nome del consenso, Renzi sacrifica una scelta che avrebbe dovuto essere dettata da altro.

A Gentiloni il compito di lavorare sulla diplomazia. Per il ministro l'intesa raggiunta ieri a Vienna «ha un grande valore politico», fondata sul riconoscimento della responsabilità del governo presieduto da Sarraj da parte della comunità internazionale che si è detta disponibile ad addestrare le truppe libiche perché il nuovo premier vuole che siano le forze nazionali unificate e rafforzate a garantire la sicurezza e a difendere il Paese dal terrorismo, non le truppe di terra occidentali. I paesi che hanno preso parte alla riunione di Vienna, presieduta da Gentiloni e dal segretario di Stato americano John Kerry, sono disponibili ad alleggerire l'embargo alla vendita di armi, in vigore dall'inizio della rivolta contro Gheddafi, per rifornire le forze militari impiegate a contrastare l'Isis, così come chiesto dal governo di concordia nazionale. Il capo della Farnesina ha ribadito il sostegno dell'Italia al governo di unità nazionale. «Stiamo lavorando - sostiene Gentiloni - in modo da essere in grado di addestrare ed equipaggiare le forze militari libiche così come ci chiede il governo Sarraj. La stabilizzazione della Libia è la chiave per combattere il terrorismo. Senza si rischia un conflitto interno, anche armato. Cercheremo di rafforzare l'accordo politico per combattere l'Isis, incluso il generale Haftar, ma serve il riconoscimento pieno». Anche per Kerry «è un imperativo che la comunità internazionale sostenga il governo Sarraj, l'unico legittimo della Libia». «Chi minaccia la pace e la sicurezza in Libia - dice il segretario di Stato Usa - dovrà affrontare la prospettiva delle sanzioni».

E Renzi ha riconosciuto che «l'attenzione specifica sulla Libia è utile per pacificare l'area del Mediterraneo e non solo per ridurre il numero di profughi e di arrivi in Europa».

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