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Renzi all'Amatriciana: "Ora Berlusconi e Salvini conviene farli litigare..."

Il segretario del Pd in visita tra i terremotati è preoccupato dal successo del centrodestra

Renzi all'Amatriciana: "Ora Berlusconi e Salvini conviene farli litigare..."

La famosa «analisi del voto» la farà solo oggi, quando avrà avuto modo di valutare le reazioni di tutti i protagonisti e le possibili novità introdotte dall'esito delle urne nell'agenda politica.

Stamattina, in un videoforum su Repubblica, Matteo Renzi tirerà un bilancio di questa tornata amministrativa e delle novità più importante che ha segnalato: il tonfo dei Cinque Stelle, la riemersione di un centrodestra competitivo, l'apparente ritorno di un bipolarismo destra-sinistra. E dei «buoni risultati», come riconosce, per il Pd: al 16,6% delle sue liste va aggiunta buona parte del 20% delle liste civiche di ispirazione Pd, mentre i sindaci eletti sono 22 e quelli in ballottaggio 86 (di cui 45 in testa).

Ieri invece il leader Pd ha voluto tirarsi fuori dal teatrino post-elettorale e far sapere che mentre tutti gli altri fanno «chiacchiere e discussioni» sulle Comunali, «noi oggi abbiamo fatto una scelta diversa»: di prima mattina, con il presidente della Regione Lazio Zingaretti, «abbiamo preso una macchina e siamo saliti a Accumoli e Amatrice per fare il punto sui cantieri». E via Facebook ha postato le foto dei due che, in maniche di camicia, controllano le opere di ricostruzione e parlano con gli abitanti dei comuni terremotati.

Una scelta di immagine, certo, ma anche l'occasione per fare una chiacchierata con Nicola Zingaretti, esponente della sinistra Pd non renziana e capo di una larga coalizione di governo in Regione, che comprende i centristi ma anche la sinistra nelle sue varie e pittoresche formazioni: Sel, Mdp, pisapiani, ecologisti. Un modello che può tornare utile in vista delle future elezioni politiche, visto che il famoso Consultellum in vigore grazie ai giochini della Consulta prevede alla Camera un premio di maggioranza per il partito raggiunge il 40%. Una quota che il Pd renziano ha già superato in passato, e che potrebbe tornare raggiungibile se «riusciremo a offrire agli elettori una formula di governo credibile», dicono nel Pd. Il premio è alla lista, non alla coalizione, dunque occorre costruire un listone appetibile al più vasto elettorato possibile, che tenga insieme, col Pd, istanze più moderate e liberali (chiuso il dialogo con Ncd, si pensa ad un personaggio come il ministro Carlo Calenda) e la parte più presentabile del mondo a sinistra del Pd. Di qui l'apertura del dialogo con Pisapia, assai interessato a un'alleanza che permetterebbe alla sua eventuale formazione di evitare la soglia proibitiva dell'8% per entrare in Senato. È un'operazione che richiede tempo, e rende più appetibile il voto a scadenza naturale. Al momento quindi, dal Nazareno, non si prevedono cambi di rotta né sulla data del voto, nel 2018; né sulla legge elettorale. C'è chi, come il ministro Andrea Orlando, chiede di modificare il Consultellum introducendo il premio alla coalizione, ma nel Pd sono scettici: «Sulla legge elettorale non si muove nulla, per ora. Mai dire mai, ma è molto difficile che si ricostruisca un accordo abbastanza largo da poterci rimettere mano», spiega un alto dirigente renziano. Dell'operazione «tedesco», alla luce dei risultati di oggi, Renzi rimpiange una cosa: «Era stata una mossa intelligente dividere Berlusconi da Salvini», perchè uniti si confermano assai competitivi, a differenza dei Cinque Stelle che «alla prova del governo deludono: è bastato un anno di loro sindaci a Roma e Torino per farlo capire ai cittadini».

Quanto alla data del voto, il senatore Pd Esposito avverte che l'incidente è sempre in agguato: «Gentiloni avrà la fiducia sui voucher, in settimana?», si chiede.

I bersaniani minacciano di votare contro, ma si sono assicurati l'uscita dall'aula di Forza Italia e verdiniani per evitare il patatrac.

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