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Renzi mollato dai "suoi" sindaci: "Non si sbatte la porta di casa"

Non solo renziani "nazionali" come Pinotti, Guerini, Ascani e Marcucci. A scaricare Renzi sono anche i sindaci che gli devono tutto come Giuseppe Sala e Dario Nardella. Uno di loro usa toni durissimi: "Non si sbatte la porta di casa"

Renzi mollato dai "suoi" sindaci: "Non si sbatte la porta di casa"

"In Parlamento siamo in 40, 25 deputati e 15 senatori. E non è finita". Matteo Renzi, in queste ore, si dice raggiante sulla campagna acquisti che, tra Montecitorio e Palazzo Madama, dovrebbe assicurargli qualche decina di parlamentari sufficienti per la formazione di due gruppi autonomi (servono almeno 20 deputati e 10 senatori). Ma se a Roma va tutto bene, non si può dire lo stesso di quanto sta accadendo a livello locale. Dove una carica di sindaci si sono ribellati all'uscita dal Pd dell'ex premier, annunciando di non volerlo seguire in questa nuova avventura. E senza risparmiargli aspre critiche, in alcuni casi anche feroci.

La rivolta, però, è iniziata dal Nazareno. Diversi suoi fedelissimi, contrariamente alle indiscrezioni dei giorni precedenti al grande passo fuori dal Pd, hanno tradito l'ex premier. Pesantissime le defezioni dell'ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti ("Da Renzi scelta sbagliata, incomprensibile politicamente"); il vice ministro dell'Istruzione, Anna Ascani ("Non me la sento di lasciare il Pd"); Lorenzo Guerini ("Così Matteo rafforza i sovranisti") e Luca Lotti, fino al capogruppo Pd alla Camera, Andrea Marcucci ("Non lo condivido, ma non sarò mai suo nemico"). Insomma, in Italia Viva ci sono già alcune assenze notevoli. Ma a fare rumore sono gli amministratori locali che a Renzi devono tutto o quasi. Si sente fino a Roma il crepitio delle parole di fuoco del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che su Facebook scrive: "Le ragioni politiche della scissione di Italia Viva sono difficili da comprendere. Lo dico con rispetto per Matteo, ma credo che faccia molta fatica a stare in una comunità collaborativa, preferendo invece - l'accusa dell'ex ad di Expo - un sistema che risponda pienamente a lui. È questo che più ci distingue".

Ma Sala è solo il primo della lista dei sindaci renziani diventati ex. Sorprende il "no" del primo cittadino di Firenze, colui al quale Renzi ha di fatto consegnato Palazzo Vecchio: Dario Nardella. "Capisco le ragioni di Matteo, rispetto la sua decisione, ma io continuerò a lavorare e a fare le mie battaglie nel Pd". Come lui anche altri amministratori locali toscani. Per esempio il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, che ha commentato: "È un passaggio molto doloroso politicamente e umanamente", motivando così la sua scelta di non aderire al nuovo progetto politico di Renzi. Come lui anche Giorgio Gori, sindaco di Bergamo: "Ho condiviso tante battaglie, compresa quella persa del referendum, ma ora le nostre strade si separano perché non sono portato ad aderire a progetti che si basano su una persona".

È proprio l'eccesso di personalismo della nuova creatura politica di Renzi a motivare il no di Sala e Gori. Con loro anche il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi. Durissimo il suo j'accuse all'ex premier: "Non si sbatte la porta di casa propria e si va via per sempre, soprattutto quando è in atto una discussione ed è viva una sfida come quella di governo". Altrettanto velenoso il commento di Matteo Ricci, sindaco di Pesaro dal 2014 e fedelissimo della prima ora di Renzi: "È un errore enorme. Non credo nei partiti personali e le divisioni portano sempre male". Insomma, tutti contro Matteo. Che a "Porta a Porta", il giorno del grande annuncio del suo addio i dem, aveva smentito che la sua "operazione" volesse "portare via amministratori al Pd. Noi vogliamo riportare le persone a credere nella politica". Un concetto che andrebbe ribaltato.

Sono i sindaci a non volere lasciare i democrat.

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