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Renzi sfida i frondisti Userà i voti di Verdini per piegare le proteste

Il premier respinge le critiche della minoranza: "Tifano Forza Palude". E chiede nuove norme contro gli scioperi

Renzi sfida i frondisti Userà i voti di Verdini per piegare le proteste

Verdini come Frankenstein: un intesa parlamentare con lui «è un film dell'orrore», dice l'ex capogruppo Roberto Speranza. La fronda anti-renziana usa la scissione filo-governativa in Forza Italia per sollevare un nuovo casus belli contro il premier, accusandolo di turpi scambi con la componente guidata da Denis Verdini. Per Speranza «Renzi dovrà chiarire: non abbiamo bisogno di patti con Verdini ma di tenere unito il Pd. L'Italia non si cambia con accordi incomprensibili con gli amici di Cosentino. Non dobbiamo alimentare un nuovo trasformismo». Renzi però non ha alcuna intenzione di dar corda alla fronda interna: «I soliti noti vorrebbero trascinarmi in polemiche e avvitare il governo in faide per rallentare l'azione riformatrice. Ma a chi tifa Forza Palude rispondiamo continuando con più determinazione a cambiare il paese».

Ovvio che la maggioranza renziana non veda male l'idea di poter contare su un pacchetto di voti in più a Palazzo Madama, dove i numeri sono sempre sul filo del rasoio e dove il potere di ricatto della minoranza Pd è quindi molto alto. «Ma non siamo certo noi a mestare in casa altrui: come gruppo Pd abbiamo sempre mantenuto un dialogo leale con il capogruppo di Forza Italia Romani, che non è un estremista alla Brunetta», spiega il vicepresidente dei senatori Pd Giorgio Tonini. «Se poi un pezzo dei loro senatori decide di votare con noi la riforma costituzionale, che anche Berlusconi votò in prima lettura, sono scelte loro».

Alla minoranza Pd però non piace l'idea di perdere potere di veto a Palazzo Madama, e sul caso Verdini è pronta a scatenare una nuova offensiva. In casa renziana spiegano che il premier «userà i voti di Verdini e dei suoi, anche per far abbassare le penne alla minoranza interna». Ma come assicura il senatore Pd Francesco Russo, «quei voti non saranno mai decisivi per la tenuta del governo». In attesa del redde rationem al Senato la lista dei dossier aperti sul tavolo del premier è lunga. E uno dei più scottanti riguarda ancora Roma e il suo malconcio governo. Renzi non ha ancora sciolto la riserva sulla sua partecipazione alla Festa dell'Unità della Capitale, domani sera: c'è una forte preoccupazione per la possibilità di contestazioni organizzate dai centri sociali, e Palazzo Chigi ha chiesto garanzie sulla sicurezza. Ma c'è anche il versante politico della faccenda: Renzi non vuole che la sua presenza alla Festa suoni come timbro del governo su tentativo di rilancio del sindaco Marino, che con il commissario Orfini vorrebbe chiudere entro domani il rimpasto della giunta, con la nomina del deputato Marco Causi a vicesindaco e assessore al Bilancio (al posto della renziana Scozzese), e sono alla frenetica ricerca di un possibile assessore ai Trasporti per sostituire il renziano Improta e governare il caos Atac. E l'ex sindaco Rutelli ironizza sulle vaghe promesse di privatizzazione di Marino: «Neppure un emiro sotto stupefacenti si comprerebbe oggi Atac». Ma grazie alla vicenda Atac e ai blocchi di Pompei e di Alitalia, e al conseguente forte imbarazzo dei sindacati, il governo si prepara a sfidarli chiedendo al Parlamento nuove norme contro gli scioperi selvaggi.

E trova una sponda nel centrodestra: «Se Renzi ha il coraggio di fare sul serio, siamo pronti a lavorare col governo», dicono da Forza Italia.

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