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Renzi si dimette e apre la crisi Scontro totale con il Quirinale

La proposta di un governissimo impossibile paralizza il Paese. Ma c'è chi spinge per un clamoroso reincarico

Renzi si dimette e apre la crisi Scontro totale con il Quirinale

Sarcasmo, autoreferenzialità, in alcuni passaggi forse anche un pizzico di arroganza. L'intervento di Matteo Renzi davanti alla direzione del Pd è a tratti surreale, più vicino ad un comizio da festa dell'Unità che all'analisi di un voto che ha portato ad una crisi di governo di difficilissima soluzione. Il premier, però, preferisce non entrare nel merito del risultato referendario e si limita ad una sorta di angelus di circostanza in cui rivendica i successi ottenuti dal governo. Una scena a tratti fin troppo macchiettistica, al punto da alimentare il dubbio che il leader del Pd stia seriamente mancando di lucidità. L'impressione ce l'hanno molti dei presenti in sala durante la direzione che si tiene al Nazareno. E non solo, visto che anche al Quirinale pare siano rimasti piuttosto colpiti dai toni e dai modi di Renzi: dalle ironie sul torneo di Playstation da fare con i figli («con loro spero di avere più fortuna di quanta ne ho avuta con qualcun altro...») fino alla proposta di un governo sostenuto da tutti i partiti come unica alternativa alle elezioni anticipate.

D'altra parte, anche le confidenze di giornata di alcuni renziani di ferro raccontano Renzi come un uomo tormentato, asserragliato nel suo studio di Palazzo Chigi per tutta la mattinata, tanto da rifiutare di rispondere alle telefonate anche dei suoi uomini più fidati. E perfino il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti pare abbia faticato a parlargli almeno fino ad ora di pranzo. Renzi, insomma, ha accusato la botta e ora minaccia di fare fuoco e fiamme. Lo ha fatto anche con Sergio Mattarella che, pur con una discrezione che con la presidenza Napolitano si era persa, pare abbia risposto per le rime. Tra i due, infatti, i rapporti sono ai minimi termini. Da una parte Renzi teme lo stretto feeling tra il capo dello Stato e Dario Franceschini, che da settimane mobilita le sue truppe dentro il Pd in vista di una resa dei conti interna. Dall'altra Mattarella non ha affatto gradito i ripetuti sgarbi istituzionali del premier dimissionario. Da quello di domenica notte, quando da Palazzo Chigi ha anticipato le dimissioni che avrebbe invece dovuto comunicare direttamente al Quirinale, fino a quello delle consultazioni. Che Renzi ha infatti deciso di snobbare. Per il Pd da Matarella andranno il vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente Matteo Orfini e i due capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda. Renzi, che pure del Partito democratico è il segretario, non ci sarà. Un vero e proprio schiaffo al Colle, dettato anche dalla necessità di tenersi le mani libere.

Un clima da braccio di ferro, insomma. Con il premier dimissionario che punta alle elezioni al più presto, subito dopo la sentenza della Corte costituzionale sull'Italicum, e il capo dello Stato che vorrebbe invece privilegiare la stabilità. Ed è per questo che Renzi rilancia sull'ipotesi di un governo con dentro tutte le forze politiche, perché sa che la proposta è sostanzialmente destinata a cadere nel vuoto. Se questa resterà la posizione ufficiale del Pd, sarà davvero difficile per Mattarella trovare una quadra, visto che Cinque stelle e Lega certamente non si smuoveranno dal chiedere il voto subito. Una partita aperta, insomma. Che si è iniziata a giocare davvero da ieri sera, dopo che Renzi è salito al Quirinale per dimettersi, dimissioni che il presidente della Repubblica ha accolto «con riserva». Ora la palla passa alle consultazioni che si apriranno oggi alle 18 con i presidenti di Senato e Camera, Piero Grasso e Laura Boldrini, seguiti dall'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, uno che a Palazzo Giustiniani le sue personali consultazioni le ha già iniziate da due giorni. Al momento, gli scenari più gettonati sono soprattutto due. Il primo è quello di un Renzi bis che porti il Paese al voto, ma l'ex sindaco di Firenze dovrebbe accettare di «sporcarsi le mani» tornando a Palazzo Chigi. Il secondo è quello di un governo ponte, magari allargato a chi ci sta (e forse è per questo che ieri Renzi ha pensato bene di rifilare senza alcuna ragione apparente due affondi contro Silvio Berlusconi). Potrebbe essere un esecutivo istituzionale, anche se tra Mattarella e Grasso, entrambi siciliani, pare non ci sia per così dire molta sintonia.

O un governo politico, guidato magari da un ministro uscente, e i nomi che girano sono quelli di Pier Carlo Padoan o Paolo Gentiloni.

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