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Renzi si piega alla minoranza Pd

Indebolito dal voto e contestato per l'alleanza con Verdini, il premier affiderà il partito a un vice unico

Renzi si piega alla minoranza Pd

Roma - Dobbiamo e possiamo fare meglio», perché al primo turno «i problemi ci sono stati», riconosce Matteo Renzi nell'incitare le sue truppe per il match finale dei ballottaggi.

Il proprio ruolo nella partita il premier non lo ha ancora deciso: se cioè sia meglio giocare in prima persona, cercando di trainare i candidati sindaci di Roma, Milano e Torino, o se sia più prudente restare defilato, per evitare di «polarizzare troppo il confronto». Occorre infatti blindare i voti Pd già raccolti, ma anche attirare nuovi consensi da mondi diversi e da bacini elettorali altrui, che potrebbero essere invece allontanati dalla sovrapposizione sindaco-premier.

Se mai, Renzi cercherà di dare una mano indiretta con l'azione di governo: non a caso, per il 16 giugno è fissata una sorta di «festa» pubblica per celebrare l'abolizione dell'Imu.

A bocce ferme, le analisi del voto portano diverse consolazioni in casa democrat: lo studio dell'autorevole Istituto Cattaneo, infatti, spiega che il Pd, pur avendo perso voti rispetto all'exploit delle Europee, ha guadagnato più di un punto percentuale rispetto alle Politiche 2013, quelle di Bersani. E che i Grillini di punti ne hanno persi ben quattro: altro che trionfo, un arretramento secco. Soddisfazione che però cambia poco ai fini delle tre partite esiziali per i candidati Giachetti, Sala e Fassino. Perché pescare nell'elettorato della destra come in quello della sinistra estrema è molto difficile: sia Salvini che Fassina (a Roma) o Airaudo (a Torino) hanno fatto capire più o meno ufficialmente che sono pronti ad accodarsi ai Cinque Stelle piuttosto che fare un favore a Renzi.

La partita di Roberto Giachetti nella Capitale è quella numericamente più difficile, visto il gap che lo divide dalla candidata grillina. Ieri al candidato renziano è arrivato un endorsement entusiasmante per Giachetti, quello del capitano della Roma Totti, favorevole alle Olimpiadi sostenute dal Pd e osteggiate dalla Raggi. Un bel regalo, ma non basta. Di una cosa sono certi, nel Pd: se gli elettori potranno vedere i due candidati a confronto diretto sui problemi di Roma e le relative soluzioni, non ci sarebbe partita vista la grande inesperienza della grillina. La quale però sembra ben decisa a sfuggire una sfida dalla quale ha solo da perdere. Dal partito, intanto, si levano voci critiche contro il premier. La minoranza Pd attacca a spada tratta sul caso Verdini, rinfacciando le mini-alleanza con Ala fatte a Napoli e Cosenza: «Non ci voleva un genio per capire che il nostro popolo questa cosa non la digerisce», tuona Enrico Rossi. Del resto lo stesso Renzi e anche Matteo Orfini hanno ammesso l'errore: «È evidente che non è andata bene, bisogna prenderne atto». Dice il presidente Pd. Enrico Rossi però incalza: «Se non c'è una svolta e una netta correzione di tiro il ciclo di Renzi rischia di essere già finito». Arriva anche Antonio Bassolino da Napoli: «Renzi torni a fare Renzi», incita. Ma non si accoda alle critiche della minoranza, che vuole scalzare il premier dal doppio ruolo di segretario: «Può coprire entrambi i ruoli, ma non può far tutto da solo: deve cambiare in modo forte la squadra di governo e di partito».

Probabile che Renzi, nei prossimi giorni, lo accontenti: il premier sta infatti studiando una nuova segreteria «politica» fatta di nomi di primo piano, e un vicesegretario unico che guidi il Pd.

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