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Il ritiro Usa dalla Siria fa infuriare Israele. Ankara "punta" i curdi

Il ritiro Usa dalla Siria fa infuriare Israele. Ankara "punta" i curdi

A dispetto dei teorici della globalizzazione un battito d'ali di farfalla non provoca ancora uragani dall'altra parte del mondo. Ma un tweet di Donald Trump sì. A 24 ore dal messaggino con cui il presidente americano annunciava - mercoledì mattina - il ritiro dei duemila Berretti Verdi presenti in Siria l'America e il Medioriente sono in subbuglio. I curdi gridano al tradimento e fanno intendere, vuoi per ripicca, vuoi per necessità, di dover liberare oltre 3mila prigionieri dello stato Islamico per aver mani libere nel fronteggiare l'imminente invasione turca. E Ankara si guarda bene dal smentirli. Anzi annuncia di star muovendo uomini e carri armati per far piazza pulita di tutte le roccaforti curde nel nord est della Siria. Israele indignata, ma neanche troppo, per l'annuncio senza preavviso dell'«amico» Trump, garantisce per bocca del premier Netanyahu d'esser pronta a usare tutte le armi pur di tenere lontani dai propri confini gli iraniani presenti in Siria. Putin felice per l'insperato regalo ringrazia Donald «perché ha ragione e io - dichiara parlando al Cremlino - sono d'accordo con lui».

In verità, nonostante la decisione di Trump lo trasformi nell'indiscusso protagonista di una futura pace siriana, neanche lui è troppo ansioso d'assistere al ritiro americano. Subito dopo, infatti, dovrebbe spiegare all'alleato Bashar Assad come mai ha permesso al presidente turco Recep Tayyp Erdogan, con cui tratta la pace, di papparsi un altro pezzo di Siria nonostante la disponibilità curda a riconoscere l'autorità di Damasco in cambio dell'autonomia. L'uragano più tempestoso imperversa però tra Casa Bianca, Pentagono e Dipartimento di Stato.

Alla Casa Bianca il più inviperito è John Bolton, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale che tre mesi fa assicurava di voler mantenere la presenza militare in Siria usandola anche per contrastare la presenza iraniana. E di certo non esulta il segretario alla difesa Jim Mattis. Da mesi il generale dei marines tenta di convincere l'imprevedibile presidente a non far rientrare un solo uomo sottoponendogli i rapporti sulla presenza di almeno 20 o 30mila militanti dell'Isis nascosti nei deserti tra Siria e Irak. Una cifra corrispondente al numero dei militanti dell'Isis stimati dalla Cia nel 2014 e probabilmente amplificata per ragioni politiche, ma sintomatica di come il Pentagono consideri ancora lontana la vittoria finale.

Ma il segnale più evidente del solco che separa Studio Ovale e Amministrazione è l'indifferenza con cui Trump ha smentito James Jeffrey l'inviato del Dipartimento di Stato per la Siria che lunedì garantiva la permanenza delle truppe americane. Seppur sottovoce, molti funzionari dell'Amministrazione paragonano Trump al suo peggior nemico, ovvero a quell'Obama che nel 2010 - pur di rispettare le promesse della campagna elettorale - abbandonò l'Iraq prima di aver sconfitto Al Qaida.

Gettando così le basi per la nascita dello Stato Islamico.

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