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"Ora salviamoli dai talebani". Il vero pericolo per gli interpreti afghani

Domani scade il contratto dei collaboratori del nostro contingente. La medaglia d'Oro al valor militare, Paola Del Din: "Evitiamo la vergogna"

Il generale Giorgio Battisti in Afghanistan insieme a un interprete
Il generale Giorgio Battisti in Afghanistan insieme a un interprete

La lettera di licenziamento firmata dal generale Alberto Vezzoli parla chiaro: i contratti di 11 interpreti afghani al fianco delle nostre truppe scadranno il 31 dicembre, domani. Non verranno rinnovati e non è previsto alcun piano di protezione dalle rappresaglie talebane.

Vezzoli, comandante del contingente italiano a Herat, lo sancisce in burocratese, nero su bianco: «Si evidenzia, altresì, che non sussistono ritardi, pendenze né alcun tipo di inosservanza e/o inadempimento da entrambe le parti in ordine ai termini di esecuzione e alle clausole contrattuali stipulate e che ogni prestazione è stata saldata secondo quanto previsto dal contratto in oggetto». Tradotto: ognuno per la sua strada. Altri 38 interpreti rischiano la stessa sorte. Metà sarà sospesa per due mesi (gennaio e febbraio) senza paga e forse avrà un contratto in marzo. Ulteriori 7 a Kabul sono in una situazione simile. Il pretesto ufficiale riguarda le «esigenze di sicurezza dovute all'emergenza sanitaria Covid-19». In realtà è previsto il ritiro dall'Afghanistan il prossimo anno e stiamo mollando gli interpreti.

Lettera licenziamento degli interpreti

Alla lettera che la cinquantina di collaboratori afghani ha inviato al comando di Herat il 10 dicembre chiedendo garanzie per la propria incolumità, nessuno ha risposto ufficialmente. «I talebani e i loro associati hanno drammaticamente aumentato i loro attacchi in diverse province dell'Afghanistan - denunciano i nostri interpreti - Considerano gli afghani che lavorano con truppe straniere come spie e ne giustificano l'uccisione».

Perché siamo arrivati a questo punto? La Difesa, dopo il primo articolo di denuncia del Giornale di domenica scorsa, ha garantito che «è allo studio un nuovo programma di protezione». Una legge del 2014, però, già lo prevedeva, ma sembra che non siano stati previsti i fondi necessari nel decreto missioni. Fonti della Difesa spiegano che «non verrà rinnovato il contratto solamente ai casi in cui sono stati riscontrati problemi di sicurezza o per scarso rendimento». Un ritornello già sentito con i 35 afghani tagliati fuori nel 2014 rispetto alla prima ondata di interpreti portati in Italia (117). Difficile credere che traduttori impiegati per 4 anni con il nostro contingente, pure sotto il fuoco, non fossero «sicuri». E per quelli licenziati oggi, ci accorgiamo solo adesso dei «problemi di sicurezza»? La Difesa assicura che a gran parte dei leali collaboratori verrà rinnovato il contratto, ma si guarda bene dal rispondere agli interpreti. Un generale di lunga esperienza definisce le dichiarazioni del ministero «aria fritta».

Gli interpreti di oggi temono di «venire lasciati indietro», come una parte di quelli di ieri. Abdul Rasool Ghazizadeh è stato ucciso nel 2017 a Herat mentre rientrava a casa. I carabinieri lo avevano soprannominato Gennaro. Un militare italiano lo ricorda così: «Povero Gennaro, mio fedele e capace interprete. Un fratello, di cui ho accusato la triste fine». La medaglia d'Oro al valor militare, Paola Del Din, 97 anni, dell'Associazione partigiani Osoppo, ha scritto al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. «Mi domando se non è possibile evitare la vergogna di abbandonarli alla vendetta dei talebani. Si tratta di un numero esiguo di persone che potrebbero esserci utili nei centri di prima accoglienza che traboccano di uomini provenienti dalle stesse zone, ma a noi assolutamente estranei», scrive l'eroina friulana.

Salvatore Deidda, capogruppo in Commissione Difesa, insieme al gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia, ha presentato interpellanza urgente: «È comprovato che i militari italiani non lasciano indietro e non abbandonano mai nessuno.

Per questo motivo raccogliamo l'appello lanciato al Governo (dal Giornale, nda) di intervenire e chiarire quanto sta avvenendo».

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