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La scomparsa dei Poteri Forti ridotti a giocare in cortile

Una corsa al Quirinale senza Poteri Forti non si era mai vista

La scomparsa dei Poteri Forti ridotti a giocare in cortile

Una corsa al Quirinale senza Poteri Forti non si era mai vista. Quell'indecifrabile insieme di persone fisiche e giuridiche, finanza e salotti buoni, matrice multidimensionale di fonti molto diverse tra loro, aveva modo di incidere a fondo. E di farsi sentire, da dietro le quinte, sia sull'opinione pubblica, sia là dove si davano le carte, nelle segreterie dei partiti e nei Palazzi romani. Invece, a queste 14esime elezioni per la nomina di un presidente della Repubblica, i Poteri Forti arrivano stremati. Spiazzati dall'era Draghi e debilitati forse mortalmente dalla pandemia. La loro capacità di pesare sulla scelta della prima carica dello Stato, o sul percorso della sua selezione, è impalpabile. Non contano quasi nulla, eppur si muovono, sfogandosi però dentro i confini dei loro cortili. È il caso della madre di tutte le battaglie finanziarie della storia della Repubblica, quella per chi controlla le Assicurazioni Generali. Dove assistiamo a un attacco senza precedenti al santuario di Mediobanca - Potere Forte d'antan, se ce n'era uno - da parte di due imprenditori giganti quali Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone. Due che deboli, o estranei al palazzo e al potere, di certo non sono mai stati. Eppure - sono vicende di questi stessi mesi - la questione del controllo della nostra unica compagnia finanziaria internazionale con una potenza di fuoco da 680 miliardi, in grado di condizionare debito pubblico e investimenti nazionali, è giocata confusamente a cielo aperto, indirizzata di qui o di là da avvocati e comunicatori con dispetti e colpi bassi di vario tipo. Un po' come capita a Telecom, società dalla quale sembra che dipenda la sicurezza nazionale, ma decapitata e rimasta addirittura senza un capo azienda. La ex Sip, dopo essere stata contesa per decenni da filiere finanziarie rivali, con addentellati politici chi a destra, chi a sinistra, è oggi in mezzo al guado. In bilico tra il finire definitivamente in mani francesi, o il tornare alla nazionalizzazione della sua rete. Ci sono poi le banche. Con la grande partita del momento: la creazione di un terzo polo che faccia da contrappeso a Intesa e Unicredit. Una questione di sistema, che però si muove autonomamente dal dossier governativo più urgente, quello di Mps, girando alla larga, sotto l'inedita regia del gruppo Unipol guidato da Carlo Cimbri e controllato dalle coop, un tempo denominate «rosse». E alle debolezze della grande finanza si sommano anche quelle, connesse, degli altri centri di potere tradizionali, ridotti alla marginalità. È il caso dell'editoria, che attraverso i 3-4 grandi giornali nazionali era l'espressione e il terminale degli interessi dei Poteri Forti. Ma che a questo giro arriva ancora più stremata di quel che resta dei suoi grandi soci, incapace di condurre battaglie o prendere posizioni che non appaiano come estemporanee. E infine i corpi intermedi, vicini all'estinzione per la crisi della rappresentanza da un lato, per propria incapacità dall'altro. Così, per esempio, una Confindustria fatta sempre più di grandi imprese pubbliche ha perso da tempo la capacità di leadership richiesta dalla seconda manifattura europea, senza poi riuscire a recuperare terreno con la pandemia. E finendo poi spiazzata dalla bolletta energetica.

La nuova emergenza nazionale che minaccia la ripresa economica del 2022 e quindi degli anni a seguire.

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