Economia

Se c'è truffa intervenga il tribunale Ma i contribuenti non devono pagare

Quattro cose impopolari sullo scandalo che ha coinvolto le banche italiane fallite sulle spalle dei risparmiatori

Se c'è truffa intervenga il tribunale Ma i contribuenti non devono pagare

Se si potesse, e in questa zuppa si può, parlare chiaro senza fare i finanziariamente corretti, si dovrebbero dire quattro cose impopolari riguardo il recente scandaletto bancario.

1. Come si sa, azionisti e obbligazionisti subordinati delle quattro banche locali, hanno perso tutto il loro capitale. Per quanto riguarda i due miliardi di euro bruciati agli azionisti si tratta di una possibile dinamica di mercato: comprare azioni è rischioso, come fumare, bere alcol o giocare alla roulette. Guido Carli diceva era come aprire una porta con un teschio impresso sulle ante. Non vorremmo, immagino, vivere in uno Stato che ci debba tutelare da noi stessi. Discorso in parte diverso per le obbligazioni subordinate. Sono strumenti complicati e dunque per essi il campanello di allarme non suona immediatamente. Non si capisce, però, per quale motivo esercitiamo l'arte della diffidenza per chiunque ci voglia vendere qualcosa e non per il nostro sportellista bancario. Questa dovrebbe essere la prima regola di educazione finanziaria, o per meglio dire di convivenza in una società adulta e matura. Resta un grande punto interrogativo: e cioè come questi strumenti siano stati spacciati ai risparmiatori. Se ciò è avvenuto con il raggiro (e le evidenze dicono che spesso è stato così, ma non sempre posto che il 70% dei titoli si calcola sia detenuto dai dipendenti stessi delle banche) il problema è giudiziario e non sistemico. Insomma il primo punto, impopolare, è dunque che non vi è una ragione al mondo per cui la collettività (anche chi non ha un euro di risparmi in banca) debba contribuire con le proprie tasse a sollevare l'animo di una piccola parte di cittadini che ha subito una truffa, per quanto odiosa essa sia stata.

2. Detto questo, il sistema bancario aveva studiato un meccanismo per tutelare i depositi delle quattro banca-rotte (garantiti anche dal nuovo decreto del governo) e gli obbligazionisti subordinati (gli 800 milioni fuori oggi da ogni tutela). In entrambi i casi rimanevano scoperti gli azionisti, come d'altronde successe anche per altri crack bancari, come il vecchio Ambrosiano. Lo dice, nella sua audizione alla Camera il responsabile di Bankitalia per la vigilanza, Barbagallo, a pagina otto della sua relazione. Utilizzando il vecchio Fondo di tutela dei depositi, finanziato dalle banche stesse, si sarebbe infatti evitato il sacrificio per gli obbligazionisti subordinati. La commissione europea non ha accettato perché ha sostenuto, in modo burocratico e sconsiderato, che si sarebbe trattato di aiuto di Stato, solo in virtù del fatto che codesto fondo è costituito con legge dello Stato. Per questo è stato realizzato un nuovo meccanismo, dal quale sono stati però esclusi gli obbligazionisti subordinati.

3. Perché il governo italiano è stato supino a questa folle interpretazione europea? Qui siamo nel campo delle congetture, che però circolano con grande forza nei palazzi romani. La prima riguarda il nostro scarso peso economico a Bruxelles: abbiamo preferito un commissario politico, la Mogherini, ad uno economico. E questo nei rapporti informali e di forza si sente. La seconda congettura si rintraccia in una recente intervista del ministro Padoan, il quale ha subordinato la trattativa per la nascita di una bad bank in Italia (altro tema delicato) all'approvazione senza rilievi da parte della Commissione della nostra finanziaria. Traduciamo: abbiamo giá un fronte aperto con Bruxelles nel farci passare alcuni voli pirotecnici sulla legge di Stabilità, che non possiamo permetterci di aprire nuovi contenziosi.

4. Ultimo tema impopolare riguarda la solidità del nostro sistema creditizio, merito solo dei privati e di nessun intervento pubblico. Con l'attuale schema di salvataggio come in quello che vedeva l'intervento del Fondo di tutela dei depositi il sistema creditizio deve aprire il portafoglio per pagare il conto delle quattro banchette gestite con i piedi. Ma è il male minore: ciò che il sistema più teme è che venga ulteriormente compromessa la sua reputazione. Con l'attuale manovra le banche italiane pagano un prezzo altissimo: circa la metà dei loro utili attesi per il 2015 (comprese anche le grandi come Intesa Sanpaolo e Unicredit) verranno cancellati dai salvataggi. Per di più questa scriteriata soluzione, non mitiga il rischio reputazionale, visto il pasticcio fatto escludendo gli obbligazionisti subordinati e il suo gigantesco rilievo mediatico. A ciò si aggiunga che qualche genio a Palazzo Chigi ha chiamato il decreto, «Salvabanche». Si tratta di una balla: semmai si tratta di un «salvadepositi» dei correntisti delle quattro banca-rotte che verranno tutelati. Negli ultimi cinque anni circa cinque milioni di azionisti del sistema creditizio, hanno sopportato perdite cumulate pari alla cifra mostruosa di 53 miliardi di euro (fonte Abi). Hanno fatto tutto da soli, senza chiedere (a differenza di tutto il resto del mondo) una sola lira alla fiscalità generale sotto forma di aiuti pubblici.

Qualcuno deve spiegare loro per quale motivo oggi invece si devono tassare gli italiani per pagare un cattivo e rischioso investimento finito male e fatto in queste dannate banca-rotte.

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