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La sede dei jihadisti di Merano? Gentilmente offerta dallo Stato

Roma Terroristi a carico dello Stato. C'è una storia parallela interessante tra le investigazioni del Ros sui protagonisti della cellula altoatesina di Rawti Shax, l'organizzazione terroristica transazionale che faceva capo al mullah Krekar, che comandava il network dal carcere in cui si trovava a Oslo.Il caso più clamoroso è quello di Abdul Rahman Nauroz, 36enne responsabile della cellula italiana, vicario dell'organizzazione dopo l'arresto del leader. L'uomo era un tuttofare: proselitismo, lezioni di radicalizzazione, spostamento di clandestini su e giù per l'Europa, e verso i teatri di guerra per combattere la jihad, occupandosi personalmente degli aspetti logistici e finanziari. Si preoccupava di reperire armi, imparava a costruire bombe su youtube, si diceva pronto a organizzare attentati per rappresaglia contro l'arresto del suo maestro in Norvegia, oltre a ricevere l'incarico di creare il «comitato segreto», una cellula terroristica che avrebbe dovuto operare in Europa.E tutto questo lo faceva da un appartamento di Merano, in via Castel Gatto, 9, il cui affitto era pagato dai servizi sociali della città, evidentemente ignari che quella era la «sede associativa della Rawti Shax italiana». Il luogo di transito per chi andava a combattere in medio oriente, una «moschea» improvvisata, la sala riunioni per la cellula italiana e, in una parola, scrive il gip, «il luogo fisico di radicalizzazione e proselitismo per l'associazione». Tutto pagato dai contribuenti, perché Abdul Rahman aveva chiesto e ottenuto l'asilo politico in Italia, presentando documentazione falsa e un manoscritto in arabo nel quale, prendendo le distanze dai terroristi, raccontava che la sua famiglia era stata distrutta nel conflitto iracheno seguito alla caduta di Saddam. Ovviamente erano balle, visto che lui stesso aveva combattuto nelle fila di Ansar Al-Islam.Arrivato in Europa a metà degli anni 2000, Abdul Rahman viene espulso dalla Norvegia, controllato in Inghilterra, Germania e Francia (dove è arrestato per traffico di clandestini) per poi, fine 2008, presentarsi in questura a Bolzano dicendo d'essere appena giunto da Istanbul e chiedendo asilo politico per le «persecuzioni» in patria. Grazie alle quali ottiene permesso di soggiorno, casa gratis e «anche un sussidio di sostentamento mensile», annotano i Ros. Tanto welfare nonostante una condanna definitiva per rapina ai danni di un pakistano che, nel 2008, a Bolzano, non lo aveva voluto ospitare. Non stupisce che i privilegi di una accoglienza fuori dall'ordinario diventino il valore aggiunto del Bel Paese per il presunto jihadista. Intercettato col sodale Hama Kaml, sospira: «Sto comunque pensando di lasciare questo Paese, nel caso i servizi sociali taglino il mio sussidio». Anche «mamosta Kawa», al secolo Ali Abdula Salih, 38enne componente della cellula altoatesina, ha dal 2001 un permesso di soggiorno per lo status di rifugiato politico. Eppure proprio lui, intercettato, «racconta di aver ottenuto l'asilo politico in Italia affermando mendacemente di essere stato perseguitato dai terroristi islamici, pur in realtà avendo combattuto proprio nelle loro fila». Doppia vita di immigrato regolare perché rifugiato e aderente alla cellula terroristica pure Goran Mohamad Fatah, 29enne curdo residente a Merano. E poi c'è «Hitler» Ibrahim Jamal, che prima di radicalizzarsi era fan del Fuhrer. Nel 2003 chiede asilo: domanda respinta, lui espulso. Cinque anni dopo è ancora in Italia, e nonostante l'espulsione ignorata, ottiene lo status di rifugiato e si dedica alla jihad. Nel 2012 vola in Kurdistan, si fa immortalare mentre imbraccia un Ak-47 e pubblica la foto su Facebook.

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