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Al Senato il governo sarà sempre in bilico

Troppo pochi 167 voti per scongiurare intoppi. Farebbero comodo i 18 di Fdi

Al Senato il governo sarà sempre in bilico

Roma - Annunciato con grandi fanfare e proclami dall'accento venezuelano, il sedicente «governo del cambiamento» sembra - dopo lunghissimo travaglio - quasi partorito.

«Tra pochi giorni partirà», assicura il dioscuro giallo Luigi Di Maio. «Ora nessuno metta veti», avverte il dioscuro verde Matteo Salvini. Ma al di là dei trionfalismi da cui saremo sommersi, resta un'incertezza non da poco: il governo avrà una maggioranza solida alla Camera (347 su 630), ma al Senato è appeso ad un pugno di voti. I senatori dei due partiti, infatti, sono 167, di cui 109 del partito Cinque Stelle e 58 del Carroccio. In ogni caso, appena sette sopra la soglia della maggioranza assoluta, che allo stato attuale è 160.

Il governo Renzi, con 169 voti, considerava Palazzo Madama un terreno minato, dove gli inciampi erano sempre possibili e i ricatti e le pressioni di correnti, partitini e singoli senatori erano all'ordine del giorno.

Se Salvini e Di Maio volessero davvero tradurre in provvedimenti il farraginoso quanto impegnativo programma che hanno trionfalmente annunciato, basterebbe una manciata di dissidenti per mettere in discussione il loro cammino e far amaramente pentire i due di essersi opposti, in modo così poco lungimirante, alla riforma del bicameralismo promossa da Matteo Renzi per superare l'anomalia tutta italiana della doppia lettura delle leggi e della doppia fiducia. Senza contare che molti, tra i senatori leghisti e grillini, attendono con incontenibile ansia una chiamata al governo come ministri o sottosegretari, che li promuova in serie A: se la ottenessero, i numeri in Senato diventerebbero ancora più ballerini visto che gli impegni di governo si sovrappongono spesso in modo inconciliabile a quelli parlamentari. Se il loro sogno venisse deluso, però, potrebbero covare vendetta e tenere sotto tiro la maggioranza: nell'uno e nell'altro caso, insomma, c'è poco da dormire tranquilli.

E figuriamoci se il gabinetto gialloverde volesse davvero cambiare la Costituzione, come annunciato ad esempio per superare il vincolo di mandato dei parlamentari (già introdotto con successo da Mussolini) o per ridurre il numero dei parlamentari medesimi (dopo essersi fieramente battuti contro il taglio di un terzo proposto da Renzi): i numeri per farlo rischiano di non esserci proprio.

Per questo Salvini, consapevole del rischio, continua insistentemente a corteggiare Giorgia Meloni per convincerla a dirgli di sì: «Non facciamo violenza a nessuno, ma mi piacerebbe. Il partito di Fratelli d'Italia starebbe bene in un governo di cambiamento». Per Salvini sarebbe un bel colpo, perchè la componente di centrodestra aumenterebbe e farebbe crescere il suo peso contrattuale dentro l'alleanza con gli infidi grillini della Casaleggio. Senza contare che i diciotto senatori di Fdi servirebbero come il pane al futuro governo, e gli fornirebbero una necessaria boccata d'ossigeno, permettendogli di raggiungere una maggioranza di 185 senatori.

La Meloni però continua a resistere, strenuamente.

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