Cronache

Sette miti da rovesciare sull'emergenza idrica E il clima è solo un'alibi

La privatizzazione è ininfluente, la siccità si può prevedere. Ma serve una strategia

Sette miti da rovesciare sull'emergenza idrica E il clima è solo un'alibi

Chiara, fresca e solitamente abbondante. Antonio Massarutto, economista esperto di reti idriche e gestione dei servizi pubblici locali, professore di economia pubblica all'Università di Udine e direttore di ricerca allo Iefe della Bocconi di Milano, racconta al Giornale come una siccità anche eclatante come quella attuale sia, di fatto, un evento piuttosto raro nel Bel Paese. E ci aiuta a sfatare o a ridimensionare i «miti» sull'acqua, dalla necessità di investire in grandi opere ai «nasoni» da chiudere, dallo spauracchio della privatizzazione alle «cattive abitudini» degli italiani.

1) Con una rete idrica piena di falle, l'unica strada è investire in interventi infrastrutturali?

«È vero che in Italia si usa tantissima acqua e che se ne spreca molta. Ma ne abbiamo veramente tanta. Ovviamente questo quadro ci rende vulnerabili in caso di siccità, ma non per questo investire miliardi in grandi opere infrastrutturali è prioritario. Un esempio che faccio spesso è quello della neve a Fiumicino: quando c'è crea ovviamente problemi allo scalo romano non preparato ad affrontarli. Ma avrebbe senso investire in attrezzature per una criticità rara? Per la siccità la questione è simile. Possiamo investire miliardi e ridurre le perdite di rete, ma l'aumento del costo dell'acqua che ne deriverebbe sarebbe giustificato dalla necessità di affrontare una siccità ogni dieci anni? Meglio compensare i danni al reddito degli agricoltori con le assicurazioni».

2) Di fronte all'emergenza però bisognerebbe correre ai ripari e tappare i buchi.

«Anche con i soldi non bastano due giorni per rifare una rete idrica. Parliamo di lunghissimo periodo, certi ritardi accumulati non si recuperano».

3) Chiudere nasoni e fontane pubbliche in queste emergenze permetterebbe di fronteggiarle meglio?

«Le fontanelle non valgono che poche gocce. Poi l'erogazione continua delle fontanelle milanesi, le vedovelle, ha anche la funzione di tenere pulite le tubazionii».

4) L'impressione è che le siccità ci colgano sempre impreparati, è così?

«Quest'anno già a marzo avevamo avuto i primi campanelli d'allarme, ma non li abbiamo ascoltati. Il caso di Roma è emblematico. Il lago di Bracciano è utilizzato per approvvigionare di acqua Roma nelle emergenze, ed è stato utilizzato appunto già da marzo. Ma l'incidenza sul livello del lago di questi prelievi è di 15 centimetri, mentre l'acqua è calata di un metro e mezzo. L'altro metro e 35 di acqua che è sparita è probabilmente servita a irrigare coltivazioni e noccioleti da pozzi privati. Quindi a marzo si sarebbe dovuto dire agli agricoltori «non irrigate», o applicare qualche misura non troppo efferata. Solo che, politicamente, è più difficile imporre razionamenti, anche se soft, con tanto anticipo, in un periodo in cui magari piove. D'altra parte noi italiani passiamo dalla noncuranza al panico; meglio un atteggiamento di ragionevole prudenza sia in tempi di vacche grasse che negli occasionali tempi di vacche magre».

5) Il problema andrebbe risolto adottando a casa comportamenti virtuosi?

«Oggi nessuno a casa lascia il rubinetto aperto tanto per sprecare acqua. Certo, non farebbe male la diffusione di una logica di risparmio che colpisce chi non è abituato a farla, applicando normali abitudini di buon comportamento, come per esempio lasciare chiuso il rubinetto quando ci si lava i denti. Più dei comportamenti virtuosi, a casa servirebbero investimenti strutturali: circa il 20 per cento dell'acqua potabile finisce nello sciacquone, eppure quelli a doppio pulsante permetterebbero un risparmio consistente, come l'uso di elettrodomestici più efficienti che consentono di salvaguardare le risorse idriche molto più che non rinunciare a farsi la doccia».

6) La privatizzazione non risolve problemi e ha spinto verso l'alto le tariffe.

«Il mito dell'oro blu è una sciocchezza. La privatizzazione serviva a garantire investimenti nel settore, che per 50 anni non sono stati fatti, tanto che ci perdiamo il 40 per cento dell'acqua per strada. Le aziende devono finanziarsi sul mercato, rivolgendosi alle banche, e devono chiedere alle tariffe di ripagare quegli investimenti. Questo rende irrilevante la natura dell'azionista, pubblico o privato, che sono pari per livello di efficienza. Però l'aumento delle tariffe, coinciso col momento in cui la riforma ha cominciato a entrare a regime e i primi nodi sono venuti al pettine, ha fatto scatenare l'opinione pubblica demonizzando la privatizzazione. Il nodo era un altro: in Germania, Danimarca e Svezia l'acqua è pubblica, ma si scopre che costa tre volte più che da noi anche se sempre di idrogeno e ossigeno è fatta. Solo che agli utenti tocca pagare le reti e la manutenzione che contengono la perdita al 15 per cento»

7) Colpa dei cambiamenti climatici? Dell'agricoltura?

«Nell'emergenza non si pensa alle colpe, diventano alibi. Non è colpa dei campi da irrigare né di quelli da golf.

Il problema è la governance, scegliere come gestire e governare i conflitti, dove orientare le risorse, scegliere le priorità, sacrificando il green o le coltivazioni per permettere ai cittadini di farsi la doccia, decidendo quanto è opportuno adottare certe misure e non altre, e in che modo condividere i costi».

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