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La sfida di Salvini alla Ue: "Ora i vincoli vanno rivisti"

Il capo leghista annuncia battaglia in Europa, ma rischia soltanto di aumentare l'isolamento dell'Italia

La sfida di Salvini alla Ue: "Ora i vincoli vanno rivisti"

Tra le marce di Matteo Salvini - compresa la nuziale con la figlia di Verdini - quella su Bruxelles sembra la più lunga, insidiosa e meno prodiga di risultati. Così da far temere per lui, nell'inusuale veste di legionario di Cesare, una gragnuola di colpi che, al confronto, quelli di Asterix e Obelix sembreranno muliebri carezze.

Ma è un Salvini in metamorfosi, il vicepremier che ancora si aggira tra Umbria e Marche per i bagni di folla che preludono ai ballottaggi delle amministrative. Dismessa stabilmente la felpa, in camicie o persino camicia e giacca, il capo del Carroccio ha appena licenziato al settimanale Chi un'intervista sul fidanzamento che va a gonfie vele («Siamo una coppia come tante»). Qualcosa deve frullargli nella mente, se tra i tanti consueti argomenti, finisce per abbondare in metafore di sapore casalingo. «Se una medicina è sbagliata, avrò diritto di prendere un'altra medicina... Se le regole europee mi dicono di non dare da mangiare a mio figlio che ha fame... io che faccio? Secondo me viene prima mio figlio». E spiega pure che «è un ragionamento che fanno tutti i governi europei e tutti i padri di famiglia». Il problema è forse che il titolare della golden share del governo abbia cominciato a vedere come suoi pargoli tutti noi («I miei figli sono 60 milioni di italiani»). Ipotesi suggestiva, e fortemente pericolosa, considerato che le infrazioni beccate dai padri (in questo caso lui assieme a Di Maio), finiremo per sorbircele noi di casa. Lui, come sempre, va dritto come un treno. Sulla lettera della commissione dice che «rispondiamo da persone educate, ma non vogliamo usare i soldi tedeschi, francesi o lussemburghesi, quanto piuttosto quelli delle tasse degli italiani per aiutare gli italiani a lavorare». Anche i «vincoli si possono rivedere. Noi vogliamo lavoro e crescita, a Bruxelles capiranno: l'unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (con la flat tax). Con i tagli, le sanzioni e l'austerità sono cresciuti debito, povertà, precarietà e disoccupazione... Dobbiamo fare il contrario. Ci dicono che abbiamo sbagliato con quota 100, ma siamo solo all'inizio. L'obiettivo è quota 41: andare in pensione dopo 41 anni di fabbrica, di negozi, di ospedali, mi sembra il minimo».

Ma se palchi e microfoni elettorali lasciano il tempo che trovano, non sembra che dalle parti di Bruxelles l'attivismo dialettico del leader leghista faccia breccia nei nostri partner. Anzi, sembra in verità ritagliarci sempre più un ruolo subalterno e marginale (persino il bizzarro inventore della Brexit, Nigel Farage, ieri ha annunciato che non vuole far parte del gruppo di Salvini e della Le Pen). Le prospettive non del tutto rosee della «lunga marcia europea» sembrano fare capolino, negli infiniti soliloqui del vicepremier in piazza come sui social. «Non sarà facile, ma ci proveremo a cambiare le regole europee...», ammette. Oppure: «Avevo chiesto agli italiani un voto per provare a cambiare l'Europa, non ho certezze ma almeno dò battaglia... Si fa e si farà tutto il possibile per rimanere nei parametri stabiliti». Ma intanto conferma di aver cambiato idea e di «non voler uscire dall'Europa». Puntiglioso quanto si vuole, però isolato come una mosca nello stretto di Gibilterra. E persino immemore di quello che lui stesso sostiene essere un segreto dell'avanzata leghista: «lavorare molto, ma con grande umiltà e tenendo i piedi per terra».

Occhio al gradino, allora.

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