Cronache

Lo sfregio di Amri: tutti i crocifissi a testa in giù

Provocazione mentre era nel centro di accoglienza di Trapani. I pm: "A Milano niente agganci"

Lo sfregio di Amri: tutti i crocifissi a testa in giù

Milano - Non aveva ancora vent'anni, era appena sbarcato in Italia, e già si comportava da duro e da leader: quando Anis Amri, il terrorista della strage di Berlino, venne ospitato nella comunità per minori «Romeo Fava», vicino Trapani, era lui a dirigere la preghiera; era lui a cercare provocatoriamente di convincere la malcapitata suora a unirsi alle preghiere per Allah; e fu lui, in segno definitivo di spregio, a fare ritrovare una mattina tutti i crocifissi della comunità appesi a testa in giù.

Il resto del percorso è noto: il carcere, l'espulsione mai avvenuta, il passaggio in Germania, la strage di Natale: e infine il ritorno in Italia, l'ultima fuga terminata davanti alla stazione di Sesto San Giovanni, la sparatoria con due poliziotti, e Amri che resta morto sull'asfalto. Ora, a quasi un anno di distanza dalla notte di fuoco a Sesto, la Procura di Milano chiude l'indagine aperta per capire chi fosse davvero il terrorista, quali appoggi avesse o cercasse in Lombardia. Dagli atti finali si scoprono due cose importanti. La prima è che Amri, almeno nel nord Italia, era un lupo solitario, un fuggiasco disperato in cerca solo di proseguire per il sud (dove invece aveva conoscenze e legami). La seconda è che non corrisponde al vero la leggenda che lo ha dipinto come un bravo ragazzo divenuto estremista nelle carceri italiane. Quando si imbarcò verso l'Italia, venne soccorso in mare e portato a Lampedusa, il giovane tunisino era già un integralista islamico pronto a ribaltare i crocifissi: come se dentro di lui ci fosse già il germe del famoso proclama che registrò prima di ammazzare dodici persone a Breitscheidplatz, «Giuro su Dio che siamo venuti per sgozzarvi».

Nelle ore successive alla morte di Amri a Sesto San Giovanni vennero aperte due inchieste; una per valutare la correttezza del poliziotto che lo aveva ucciso, rapidamente chiusa senza nessun'accusa; e una a carico di ignoti per terrorismo internazionale, condotta dal pm milanese Alberto Nobili per capire se e quali complicità avessero portato Amri a Milano e poi a Sesto. C'erano elementi che portavano a preoccuparsi. Da Cinisello Balsamo, che è attaccata a Sesto, era partito il Tir sequestrato poi da Amri e usato per la strage; e tra Sesto e Cinisello è presente una comunità islamica forte e non del tutto tranquilla.

Un anno di indagini ha portato invece la Procura a concludere che l'arrivo di Amri a Sesto è stata una casualità, e che non c'era un rete in grado di accoglierlo. Diversa la situazione ad Aprilia, dove il terrorista aveva vecchi contatti sui quali dovrebbe essere ancora aperta una indagine a Roma, e soprattutto in Sicilia, dove ci sono due ragazze conosciute nel centro di accoglienza con cui Amri cerca di riallacciare i rapporti dal settembre 2016, tre mesi prima della strage.

Forse pensava già di avere presto bisogno di nascondersi.

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