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Sindaci, Severino inapplicabile La tagliola vale solo per il Cav

Ennesimo reintegro dopo i casi De Magistris e De Luca per un primo cittadino del Foggiano

Sindaci, Severino inapplicabile La tagliola vale solo per il Cav

Misteri della Severino e delle leggi. Il codice di procedura penale dice che un sindaco non può essere interdetto dalla carica, la Severino invece dà semaforo verde alla sospensione del primo cittadino, dopo la condanna di primo grado. Le norme anche se formalmente trattano situazioni diverse, fanno a pugni, la tanto decantata Severino e l'articolo 289 del codice marciano in direzione opposta. Risultato: la cassazione, come anticipato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, reintegra al suo posto il sindaco di Troia (Foggia), Leonardo Cavalieri.

Siamo in un labirinto di norme e dentro un paradosso: perché la Suprema corte nota che il borgomastro può essere arrestato, ma una misura coercitiva meno forte come l'interdizione, dalla durata variabile, non può essere data.

Troia, un puntino sulle colline del Subappennino è famosa per il superbo rosone della sua cattedrale romanica e per il vino Nero ma oggi diventa l'epicentro di una nuova scossa che riguarda, direttamente o indirettamente, la Severino. E la soglia di tutela per i reati contro la pubblica amministrazione.

Da quando è stata introdotta, la legge ha funzionato a meraviglia solo con il Cavaliere, dopo la condanna definitiva per frode fiscale. In quel caso non ci fu nessun ricorso al Tar, perché il Parlamento si fa giustizia da solo. E nemmeno si pensò di chiedere un parere alla Consulta sulla discussa questione della retroattività. Game over, disse Renzi e game over fu.

Nella giungla delle amministrazioni locali invece è successo di tutto: il sindaco di Napoli Luigi de Magistris fu condannato in primo grado per abuso d'ufficio e subito sospeso, ma poi a colpi di ricorsi riguadagnò la poltrona da cui era stato cacciato. Alla fine il procedimento è finito in prescrizione, anche se la causa continua in sede civile, e lui è rimasto al suo posto.

Qualcosa di simile è accaduto al governatore della Campania Vincenzo De Luca. Anche per lui era scattata la sospensione dopo il verdetto del tribunale, pure lui è rimasto incollato alla sedia in un groviglio di carte bollate. «Oggi - spiega al Giornale Nicola Madia, avvocato e ricercatore di diritto penale all'Università di Tor Vergata - questi ricorsi difficilmente farebbero breccia nei giudici perché la Corte costituzionale si è pronunciata puntellando la norma».

Ma per un fronte che si chiude se ne apre un altro in Puglia. Cavalieri finisce sotto inchiesta per tentata induzione indebita e violenza privata. Il tribunale del Riesame dispone l'interdizione, ora la Cassazione lo riporta di peso in municipio. La Suprema corte mette il dito nella piaga: è vero che la Severino ha ampliato le misure interdittive contro i colletti bianchi, ma è ancora in vigore l'articolo 289 che «introduce una sorta di immunità o di esenzione dalla misura interdittiva proprio in un settore, quello dei delitti contro la pubblica amministrazione, nei quali tale misura potrebbe effettivamente esplicare la propria efficacia». Per la Cassazione, par di capire, è l'articolo 289 che dev'essere cambiato. Resta la contraddizione: «Con la Severino - prosegue Madia - è possibile mettere fuori gioco temporaneamente un amministratore, con un'altra norma si legano le mani alla magistratura. Qualcosa non quadra».

Quadrava ai tempi del Cavaliere.

Ora la Severino è attesa all'esame della Corte di Strasburgo.

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