Economia

Smentiti i gufi dell'apocalisse sui mercati

Come era facilmente prevedibile l'esito del referendum costituzionale non ha creato il panico sui mercati

Smentiti i gufi dell'apocalisse sui mercati

Come era facilmente prevedibile l'esito del referendum costituzionale non ha creato il panico sui mercati. Anche se non è detto che qualche ulteriore sussulto ci possa essere nei prossimi giorni. La borsa di Milano ha perso uno zero virgola. L'euro ne ha risentito ma poi ha subito recuperato e il famigerato spread non è impazzito. La clava della finanza non si è abbattuta sull'Italia. Eppure l'incertezza politica derivante dalle dimissioni del presidente del Consiglio, più che la bocciatura del referendum in sé, non piace a chiunque speculi, cioè operi in finanza prevedendo il futuro. È un discorso semplice e banale: chiunque investe, in una fabbrica come su un titolo finanziario, lo fa immaginando quale possa essere il prevedibile futuro prossimo. L'incertezza piace agli avventurieri, non agli investitori. Eppure ieri niente vendite sui mercati. Un po' di panico nei salotti buoni, quelli che, avendo dato il bacio mortale a Renzi, non sanno con chi parlare. Immaginate oggi la Confindustria. Ha speso gran parte del suo residuo peso politico nello sponsorizzare il referendum. E questo ci può anche stare. Ma lo ha fatto in modo talmente scomposto, cioè sostenendo che se non fosse passato sarebbe stato il diluvio condito da cavallette, da apparire oggi piuttosto ridicola. Non può certo augurarsi che adesso le cose precipitino, e si trova dunque nell'imbarazzante situazione di aver scommesso tutta la posta su un cavallo che si è azzoppato. C'è modus in rebus. E dalle parti di viale dell'Astronomia non lo hanno capito. Un signore che di economia e di umori sociali se ne intende, come il leader dei commercianti Carluccio Sangalli, non ha schierato la sua potente confederazione: sapeva che avrebbe diviso la sua base e che ognuno deve fare il suo mestiere. La politica le riforme, gli imprenditori vendite e quattrini. Ma torniamo alle conseguenze dell'amore per Renzi. Ieri in Borsa le quotazioni, potrà dire qualcuno, sono state particolarmente depresse per l'indice delle banche. In effetti la futura terza banca italiana, quella che nascerà dalla fusione della Popolare di Milano e dal Banco Popolare, è crollata. Bpm e Banco hanno perso circa l'8 per cento a testa. Boom. Il problema è che la cosa non dipende dal referendum, ma da Renzi. La recente riforma delle popolari non è stata accettata dal Consiglio di Stato (un po' come la riforma della Pubblica amministrazione in parte bocciata dalla Corte costituzionale) e dunque le due promesse spose rischiano di dover pagare 200 milioni in più ai soci che hanno deciso di non aderire al matrimonio. Insomma la riforma del governo, bocciata proprio dagli avvocati dello Stato, ha creato il piccolo e circoscritto panico di borsa sulle banche di cui oggi si parlerà nei titoli dei quotidiani. Altro che referendum. Resta il caso Mps. Ieri ha perso poco meno del 5 per cento. Bazzecole rispetto ai saliscendi di borsa di quel titolo. Come sapete è in corso la disperata ricerca di 5 miliardi per salvarla. Anche in questo caso la bocciatura del referendum c'entra nulla. Su questo dossier Renzi e i suoi hanno puntato fortemente su una soluzione italo-americana con una spruzzata araba dell'ultima ora. Chiunque vi venga a dire che la cosa era fatta, è un truffatore. Si tratta di un'operazione costosissima e delicata: tutt'altro che completata. E a forte rischio di riuscita anche quando fu pensata. Basti sapere che le banche che l'hanno messa in piedi non si sono assunte (cosa che si fa in queste occasioni) alcun impegno a sottoscrivere l'aumento di capitale, se il mercato non dovesse digerirlo. In compenso si sono assicurati 650 milioni di commissioni. In tempi non sospetti, proprio su queste pagine, avevamo scritto che l'aumento del Monte non solo era a rischio, ma molto poco chiaro. Per farla breve la soluzione è stata sempre complicata. Negli ultimi sette mesi i fondi hedge (quelli che si definiscono macro-global) hanno puntato contro l'Italia. Era dunque ovvio che quando l'evento a favore del quale loro speculavano (cioè la vittoria del No) si fosse verificato, avrebbero chiuso le loro posizioni. E ora si muovono verso il prossimo grande appuntamento. Questa volta si chiamano elezioni francesi e possibile vittoria di Le Pen. Funziona così, non hanno anima, ma malizia. L'equazione è semplice: vincono i populisti in Francia, succede un bel casino, o almeno così si scriverà ovunque, dunque è bene shortare (vendere allo scoperto) quel mercato e poi realizzare quando l'evento avverrà. Fino alla prossima mossa sulla scacchiera della politica europea. Fanno il loro mestiere. Noi dobbiamo solo stare calmi e guardare le cose per il loro verso reale. Il problema delle banche e dei loro prestiti esiste. Eccome. Aggravato dalla folle regolazione europea. C'entrano poco i populismi, più le regole che ci siamo dati. Diverso il discorso sul funzionamento a medio lungo periodo della nostra macchina produttiva. In quel caso chi era convinto che il Sì avrebbe potuto migliore il nostro sistema politico burocratico, può legittimamente dolersi del risultato. Ma lasci perdere, per favore, i mercati finanziari.

Perché questi oggi sono come degli animali che si scagliano sulla bestia apparentemente più debole, magari perché lasciata sola dal suo branco.

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