Politica

Soldi alle cellule nei Balcani La rete dell'imam di Genova

Il predicatore indagato per terrorismo finanziava gruppi in Albania e Kosovo. E faceva proseliti in Italia

M igliaia di euro inviati all'estero «per finanziare - secondo la procura di Genova- cellule terroristiche islamiche in Albania e Kosovo». La Digos lo considera «punto di riferimento di un gruppo oltranzista» nel capoluogo ligure e probabile reclutatore di volontari della guerra santa diretti in Siria.

L'albanese, Enes Bledar Brestha, 34 anni, imam della moschea al-Fajer, in piazza Durazzo a Genova, è indagato per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale. Non è l'unico imam del capoluogo ligure finito nell'inchiesta. Gli altri due sono Mohamed Alì Othman, tunisino che guida la moschea di via Castelli e Mohamed Naji, marocchino.

I cattivi maestri respingono con sdegno le accuse. «Noi combattiamo l'Isis e tutti i gruppi terroristici nel mondo» ha dichiarato a spada tratta Brestha ai microfoni di Sky Tg 24. Non c'è da stupirsi. Gli estremisti islamici come l'imam non considerano Jabhat al-Nusra, costola di al Qaida in Siria, una falange di terroristi, ma combattenti per la libertà contro il regime di Damasco. Non a caso l'inchiesta è partita dal siriano Mahmoud Jrad, 23 anni di Varese, che voleva partire per arruolarsi proprio con Al Nusra. Pure loro sventolano le bandiere nere, con la professione di fede musulmana, ma combattono contro lo Stato islamico per il controllo della galassia jihadista. «È possibile che ci troviamo di fronte al primo caso di imam balcanico, con studi in ambienti salafiti mediorientali, stabile e radicato sul territorio, con collegamenti multidirezionali e attivo nel supporto a cellule legate a Jabhat al-Nusra» spiega Giovanni Giacalone, analista del terrorismo nei Balcani di Itstime dell'Università Cattolica di Milano. L' ennesimo tassello della «spirale balcanica» della guerra santa legata all'Italia.

Una delle moschee genovesi coinvolte nell'inchiesta è quella di Vico Amandorla, dove andava a pregare il convertito Giuliano del Nevo, primo volontario italiano ucciso in Siria fra le fila di Al Nusra.

Gli inquirenti genovesi considerano l'imam Brestha «un ultra ortodosso». Il 10 febbraio all'incontro pubblico «Moschee aperte: un laboratorio sulla convivenza» ribadiva l'importanza della separazione tra uomo e donna all'interno del luogo di culto. A tal punto che un esponente della sinistra locale era rimasto interdetto. Brestha faceva parte di un gruppo su WhatsApp, «forum dei salafiti in Siria», dove si scagliava contro «l'attendismo», di una parte del mondo sunnita «per non aver portato ancora l'attacco al cuore dello sciismo in Iran». Le stesse idee radicali delle bandiere nere contro gli sciiti, che appoggiano il regime siriano. La Digos ha scoperto che l'imam albanese si recava con cadenza settimanale alla Western union per trasferire somme in Albania e Kosovo, che secondo la procura servivano «a finanziare cellule terroristiche». Almeno 15mila euro, che il cattivo maestro deve aver raccolto dai sostenitori risultando disoccupato.

In Kosovo sono stati segnalati diversi «campeggi islamici», che in realtà sarebbero centri di addestramento e radicalizzazione. «Besim Ilazi, sindaco della cittadina di Kacanik, (segnalata da fonti locali come focolaio radicale) - fa notare Giacalone - il mese scorso ha denunciato la presenza nelle boscaglie appena fuori la città, di luoghi di ritrovo salafiti con all'esterno guardie armate che precludono l'accesso ai non autorizzati».

Brestha ed un suo connazionale, Rakip Alia, di professione manovale, sono partiti da Genova per l'Egitto, la Germania e la Francia. Non erano certo viaggi turistici e ancora una volta è poco chiaro da dove arrivassero i soldi. Non solo: l'imam è in contato con un altro indagato accusato di aver inviato in rete minacce «contro le ambasciate statunitense e israeliana in Italia». Dalle indagini genovesi coordinate dal pm Federico Manotti emerge che «due dei tre imam sotto indagine avrebbero allestito una terza moschea a Sampierdarena».

Un punto di riunione «dei musulmani con posizioni radicali dove stava per nascere una vera e propria cellula jihadista».

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