Cronache

Stop all'islamico che vuole vivere a Roma come a Raqqa

Il tribunale della capitale impedisce a un musulmano fanatico di obbligare moglie e figli a studiare il Corano ed evitare le chiese

Stop all'islamico che vuole vivere a Roma come a Raqqa

Il marito musulmano maltratta la moglie italiana e impone ai figli minorenni di studiare i versetti del Corano obbligandoli a non andare in chiesa e neppure alle feste con i compagni di scuola perché potrebbero mangiare carne di maiale. Non siamo a Raqqa, capitale del Califfato, ma in Italia dove il padre-padrone non vorrebbe far crescere i figli in nome dell'Islam.Il 24 marzo il giudice per le indagini preliminari, Maddalena Cipriani del tribunale di Roma, ha accolto la richiesta del pubblico ministero di imporre a K.H. «il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati» da moglie e figli e qualsiasi contatto con i minori.Il padre, originario di Beirut, vive a Roma. «Obbligava i figli a studiare solo i versetti del Corano e a ripetere le formule arabe - si legge nell'ordinanza - anche presso l'abitazione della madre, dalla quale non avrebbero dovuto apprendere la sua cultura e religione dicendo che l'Italia non è il luogo dove vuole farli crescere».

Il Gip conferma che il padre-padrone islamico, fino a quando viveva sotto lo stresso tetto con la sua famiglia, si «rifiutava di occuparsi dei problemi inerenti la crescita dei figli e delle relative incombenze, definendole con sdegno, quali attività unicamente da donne». Il maschilista musulmano dopo la separazione di fatto, però, pretendeva di tenere i bambini con sé «per 15 giorni al mese, al fine di costringerli alla cultura araba». In compenso non voleva saperne di garantire un sostentamento economico alla famiglia e aggrediva la moglie italiana, F.P., minacciandola con queste parole: «Ti farò sputare sangue e ti toglierò i bambini cosicché tu non li vedrai mai più».Il marito era «ossessionato dai retaggi prevaricatori imposti dalla di lui cultura» e faceva il lavaggio del cervello islamico ai suoi figli sostenendo che «la scuola italiana non andava bene, in quanto venivano impartite morali contrarie al Corano». Uno dei figli «appariva terrorizzato dall'ingresso in Chiesa - si legge nell'ordinanza - in quanto il padre avrebbe potuto reagire in modo imprevedibile».

Non solo: «I bambini dovevano definire le chiese edifici». Evidentemente il padre riconosceva come luoghi di culto solo la moschea. Secondo l'ordinanza uno dei figli si è addirittura rifiutato, per paura, «di entrare nel Duomo» spiegando che «papà non vuole che vado in chiesa non sai come si arrabbia». Allo stesso bambino «aveva anche precluso la possibilità di partecipare alle grigliate con i compagni di calcio, in quanto non doveva mangiare salsicce». I musulmani non possono neppure toccare la carne di maiale.Il problema è che i bambini si sentono italiani e non devoti islamici, ma secondo la consorte, il marito «benché molto attento a dare di sé l'immagine di uomo aperto e moderno, di fatto non era mai riuscito ad allontanarsi dai retaggi maschilisti e prevaricatori imposti dalla propria cultura».E forse c'è anche qualcosa di peggio. «In occasione di una cena con alcuni genitori della classe del figlio - testimonia la moglie - il coniuge aveva riferito di occuparsi di traffico di armi creando disagio».Per tutti questi motivi il gip del tribunale di Roma ha confermato la richiesta del pm nei confronti di H. K. di mantenere da moglie e figli «una distanza non inferiore ai 500 metri e di non comunicare con i suddetti attraverso qualsiasi mezzo».

Il legale della signora, Francesco Caroleo Grimaldi, sottolinea che «il provvedimento rappresenta la consacrazione del principio di libertà di autodeterminazione culturale e religiosa». Secondo l'avvocato del foro di Roma «il comportamento di quest'uomo, pesantemente prevaricatore, è stato improntato alla chiara volontà di impedire qualsiasi forma di integrazione dei propri figli nel nostro contesto culturale e sociale.

Addirittura obbligandoli a non sentirsi neppure italiani, quando in realtà la loro madre è italiana, le scuole che frequentano sono italiane e la cultura nella quale vivono è basata su valori di libertà, tolleranza e rispetto, che non possono venir impediti a nessuno».

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