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Strade, treni e rifiuti. Ma la corruzione è questione di timbri

Mazzette e burocrazia: così la dittatura del timbro scatena la corruzione

Strade, treni e rifiuti. Ma la corruzione è questione di timbri

Ieri alcuni giornaloni nazionali, tanto per cambiare, hanno dedicato titoli cubitali alla disdicevole piaga della corruzione: soldi che vanno, soldi che vengono, soldi intascati senza un vero perché. La Stampa di Torino si è distinta con questo slogan in testa alla prima pagina: «Corruzione, Roma senza anticorpi». Come dire che il pozzo nero nazionale è laggiù, all'ombra del Colosseo. Mentre Milano è il paradiso degli onesti. C'è del vero, ma la verità è più complessa e merita di essere svelata una volta per tutte.

In effetti la Capitale in questo momento non ispira fiducia. Basti pensare a quello che accade in Campidoglio e dintorni: mafia, soldi buttati via per foraggiare cooperative specializzate nello sperpero di denaro pubblico, le quali incassavano milioni e milioni per non fornire servizi all'altezza dei loro costi. Vabbè, sorvoliamo. È accertato che la corruzione non nasce al vertice, ma alla base, ed è agevolata, incoraggiata da un apparato burocratico potente e poderoso che sfugge a ogni controllo. Un apparato soffocante che tiene in scacco i cittadini e li costringe, per piegarlo, a ricorrere alle tangenti, più o meno sostanziose.

Se devo eseguire dei lavori di tipo murario in casa mia, ovvio che chieda un permesso al comune. Presento la pratica oggi e, dopo un anno, non so ancora se sia stata accettata o respinta. Mi reco in municipio e mendico spiegazioni. Risposta: tutto è fermo, aspettiamo il responso dell'ufficio tecnico. Mi rassegno. Trascorrono ancora dodici mesi: nessuna notizia. A quel punto che faccio? Mi dichiaro pronto a ungere le ruote dell'amministrazione. Sgancio mille euro e accade il miracolo: ecco la licenza di ristrutturare il mio appartamento. Mille euro sono pochi (si fa per dire) e li ho spesi volentieri pur di avere ciò che non avevo ottenuto seguendo le vie della legalità.

Scendiamo ancora più in basso. Sto male. Vado dal medico. Questo, per vederci chiaro necessita che mi sottoponga a una Tac. Mi presento allo sportello per prenotare l'esame. L'impiegato mi guarda e sorride (lo prenderei a pugni) e mi dice che dovrei attendere cinque mesi. Già, disporsi in fila è la regola. Se però allungo al funzionario una banconota da cento euro, una miseria per me (non per un pensionato con la «minima»), allora mi giovo di un'accelerazione: «Venga mercoledì prossimo».

Ecco la radice della maledetta corruzione. Il cittadino conosce i propri polli e li imbecca. Non ha altra scelta per ricevere ciò che gli spetta: versa un tot e ha subito ciò che avrebbe avuto fra mesi e mesi. Chi ignora questa realtà o è scemo o è in malafede. Il principio secondo il quale occorre pagare per scavalcare il muro burocratico - il più solido del mondo - vige sempre e in ogni settore. Figuriamoci in quello degli appalti milionari. Se l'imprenditore interessato a compiere un lavoro sborsa denaro a chi è incaricato di valutarne l'idoneità a svolgerlo, tutto fila liscio: avrà l'appalto indispensabile onde mandare avanti l'azienda. Altrimenti sarà escluso dalla gara.

Infatti le gare o sono truccate o addirittura inesistenti: si aggiudica la commessa colui il quale non lesina sulle mance. Se poi questi, al fine di recuperare i quattrini spesi per corrompere, ruberà sui materiali utilizzati nella realizzazione dell'opera, amen. Così si comprende perché in Italia l'asfalto dura due anni, mentre in Germania resiste intatto decenni. E si capisce un altro fenomeno strano. Da noi un chilometro di autostrada costa dieci, in Francia tre. È naturale, sette finiscono in saccoccia ai burocrati (complici dei politici).

La dittatura del timbro è implacabile. Ne manca sempre uno per cominciare a costruire qualcosa. Se proprio lo pretendi, quel timbro, sei costretto a pagarlo salato. Ci rendiamo conto di aver semplificato. Ma il nocciolo del problema è questo: le barriere burocratiche, che da noi sono mastodontiche, si scavalcano soltanto se si è lesti ad arricchire chi le gestisce. I provvedimenti adottati da vari governi allo scopo di sconfiggere la corruttela sono stati e sono inutili, brodini. La legge Severino, ridicola. Gli inasprimenti di pena per corrotti e corruttori, idem. Nulla è stato idoneo a sconfiggere il cancro che devasta il nostro sistema.

Per contrastare il malaffare c'è solo un metodo sicuro: smobilitare l'orrenda impalcatura burocratica eretta nell'Ottocento, contestualmente all'Unità del Paese, che resiste da secoli, mai punita.

A memoria d'uomo non vi è traccia di funzionario pubblico marcio licenziato per aver abusato del proprio potere infame. Recentemente si è scoperto che numerosi dipendenti del comune di Sanremo si grattavano la pancia anziché lavorare; si assentavano a piacimento, timbravano il cartellino per conto dei colleghi lazzaroni, si palesavano sul luogo di lavoro in mutande, cose da circo equestre, e nessuno li ha mai sanzionati. Poi ci accaniamo su Roma dicendo che è l'epicentro di ogni porcheria. È falso. La capitale fa schifo per un semplice motivo: ospita i palazzi del potere. Che sono infetti per definizione. L'unica colpa che si può attribuire al governo è quella di ignorare che per combattere la corruzione è indispensabile allontanare i corrotti: cioè i burocrati retribuiti dai corruttori.

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