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La stretta Bce sui deteriorati fa tornare il «mal di banca»

Titoli del credito di nuovo a picco. Salvini ne approfitta e attacca Francoforte: «Atteggiamento prevaricatore»

La stretta Bce sui deteriorati fa tornare il «mal di banca»

Torna la febbre da Bce sulle banche italiane proprio quando l'europarlamento è più debole perchè alla vigilia del cambio del mandato. E il governo gialloverde ne approfitta per cavalcare la propaganda anti Ue.

Il panico è stato seminato venerdì dalla bozza degli esami Srep arrivata al Monte dei Paschi in cui Francoforte solleva dubbi sulla capacità della banca di attuare il piano di ristrutturazione. E raccomanda a Siena di azzerare entro il 2026 i nuovi flussi di sofferenze e lo stock di crediti deteriorati in essere allo scorso marzo. Non si tratta di un'imposizione, l'istituto può agire diversamente fornendo un'adeguata motivazione. L'allarme è però scattato per l'intero comparto del credito avrebbe ricevuto lettere simili dalla Bce con una diversa deadline a seconda dello stato di salute dei singoli istituti. Rispunta, dunque, quell'Addendum evitato l'anno scorso grazie alla levata di scudi del presidente dell'Europarlamento, Antonio Tajani (nella foto), che ha vinto il braccio di ferro con la Vigilanza Ue allora capitanata da Daniele Nouy. Negoziato risolto con l'impegno della Bce ad applicare le regole, scritte dalla Commissione Ue, con un approccio valutato, appunto, banca per banca».

I risultati definitivi dei cosiddetti Srep, e le conseguenti raccomandazioni banca per banca, arriveranno verso fine mese. Ma a far salire la febbre sono state le note degli analisti che si sono già messi a fare i conti: per gli esperti di Kepler gli accantonamenti aggiuntivi da fare entro il 2026 sarebbero nell'area di 63 miliardi nei confronti delle prime 6 banche italiane. Quelli di Mediobanca hanno calcolato che una stretta dell'Eurotower sui deteriorati costerebbe agli istituti italiani il 17% degli utili aggregati al 2026 e 15 miliardi di ulteriori accantonamenti.

Si tratta comunque di simulazioni basate sull'ipotesi estrema che le banche non raggiungano mai una copertura del 100% accelerando anzi la vendita dei crediti difficili. Ma ieri, per la seconda seduta consecutiva, i titoli bancari sono stati bersagliati dalle vendite: Unicredit ha perso il 3,1%, Intesa Sanpaolo l'1,2%, Ubi quasi il 5%, il Banco Bpm più del 4% e le azioni Mps hanno lasciato sul terreno un altro 7,6% dopo il -10% di lunedì. La politica ne ha subito approfittato per alzare i toni: «Il nuovo attacco della Bce al sistema bancario italiano e a Mps dimostra ancora una volta che l'Unione Bancaria causa instabilità», ha detto il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. Denunciando «l'atteggiamento prevaricatore della Bce che scavalca aggravandole le recenti decisioni della Commissione». Sulla stessa linea i deputati grillini.

Le big del credito, dal canto loro, gettano acqua sul fuoco: Intesa «non ravvisa impatti significativi per quanto riguarda gli obiettivi e le previsioni di natura economica e patrimoniale già resi noti al mercato per l'esercizio 2018 e per il piano di Impresa 2018-2021», Bpm ha spiegato di essere già oltre le indicazioni della vigilanza sulle sofferenze, Ubi che non subirà impatti «né sul 2018 né sul piano al 2020».

L'Abi, l'associazione bancaria, ha sottolineato ieri come in 23 mesi le sofferenze delle banche si siano ridotte di quasi il 57% e continuino a scendere: le sofferenze nette a novembre si sono ridotte a 37,5 miliardi dai 38,3 miliardi segnalati ad ottobre.

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