Cronache

Stupro nel centro sociale: i compagni ordinano omertà

Sei anni per un processo a Parma

Stupro nel centro sociale: i compagni ordinano omertà

Parma - Tutti gli stupri sono ignobili, ma qualcuno forse lo è meno degli altri. Una ragazza violentata in un centro sociale decide di non denunciare e un processo che inizia solo sei anni dopo. In mezzo solo vergogna e omertà. Nella Parma bon ton e prenatalizia, succede anche che il revisionismo si abbatta, con un bel «contrordine compagni», su una delle ferite più odiose per la città ducale. Intanto perché il processo contro i tre presunti colpevoli entra nel vivo solo in questi giorni. Poi perché, con clamoroso ritardo, i collettivi antifascisti, capitanati dal gruppo femminile Romantic Punx, si accorgono e ripensano a quando, sei anni or sono, avevano messo in dubbio, con troppi se e molti inopportuni ma, che una ragazza stuprata con ferocia non avesse subito, ma scelto di «vivere la sua sessualità in modo libero». Parole da brivido. Ricordi vividi e tristi di una storia di omertà, ammantata di ideologia. In mezzo anche il foglio locale, La Gazzetta di Parma, che, quando la cortina di silenzio finalmente svanì ormai nel 2013 - denunciò con forza il fatto, subendo le bordate dei fogli antagonisti.

I fatti ora sono noti: correva l'anno 2010 e come ogni 12 settembre la Raf rete antifascista locale - ricordava le barricate di Parma del 1922, quelle in grado di tenere lontane le camicie nere. In una notte le barricate, però, si alzarono sul destino della giovane donna: stordita, forse drogata dal branco, viene violentata da almeno tre amici e compagni e abbandonata quasi esanime. Il ricordo della violenza resta sul corpo e pure in un video che fu fatto anche girare fra gli adepti. I responsabili, tutti esponenti del centro sociale della sinistra antagonista, dovrebbero finire sotto indagine. Ma sotto processo in realtà finisce lei. «Non denunciò, allora ci stava», in estrema, volgare sintesi. La ragazza, in realtà, aveva deciso di non parlare per proteggere i genitori e vinta dalla vergogna. Per tre anni quel video circolò liberamente. E a tornare libera da quell'incubo aveva provato a vivere anche lei, continuando talvolta a frequentare quell'ambiente, in cui però non trovava più amici, ma solo battutine facili e velate minacce: «Con gli sbirri non ti conviene parlare!». Poi un'altra bomba, questa volta di carta, esplode davanti alla sede di Casa Pound. È il 30 agosto 2013: i carabinieri interrogano tutti, anche lei. Che però taglia corto: «Io con quella gente ho chiuso, dopo una brutta storia di qualche tempo fa». Gli interrogatori proseguono e finalmente, la storia si svela e quel video salta fuori dal telefonino di uno dei sospetti. Le immagini sono tanto crude quanto chiare. Gli «sbirri» possono finalmente agire, pur fra mille difficoltà, soprattutto quando la giovane riconosce gli stupratori. Due parmigiani, Francesco Cavalca e Francesco Concari, e il romano Valerio Pucci finiscono ai domiciliari. Hanno tutti fra i 24 e i 29 anni. Per la ragazza però comincia un secondo incubo, quello di essere pure additata come un'infame. Le pressioni affinché alleggerisca la versione dei fatti sono ferite pesanti quasi quanto la violenza subita. Mentre è attesa per domani una nuova udienza, la condanna contro i tre violentatori è arrivata netta, ormai anche a livello nazionale, da tutte le sigle storiche, dai social legati al movimento e anche da Radio Onda Rossa, storica emittente antagonista. «Ci chiediamo, con sgomento e rabbia, dove è stato il movimento in tutti questi anni di silenzio».

Bella domanda.

Commenti