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Sul Mes i 5 Stelle cadenti: in fuga altri senatori grillini

Alla Camera mancano 14 voti, al Senato in quattro contestano la linea del M5s: li aveva scelti tutti Di Maio

Sul Mes i 5 Stelle cadenti: in fuga altri senatori grillini

«Non sono semplicemente persone competenti, ma super competenti». Chissà se Luigi Di Maio condivide ancora le parole con cui presentò i candidati all'uninominale del M5s. Era la sua grande idea: selezionare professionisti con un minimo di curriculum e qualche nome spendibile dalla «società civile». Qualcuno fu subito falcidiato dalla logica giustizialista pentastellata, «macchiati» da ombre del passato. Ieri, l'esplosione del «caso Mes» ha visto altre defezioni al Senato. Quasi tutti nomi scelti da Di Maio per l'uninominale. Mentre alla Camera, dove i pentastellati da mesi non riescono a eleggere un capogruppo, sono mancati i voti di 14 deputati grillini, assente il ministro degli Esteri.

Il governo ha incassato comunque il sì alle risoluzioni che evitano il disfacimento della maggioranza (con 164 voti al Senato, 4 in meno della fiducia al Conte Bis), e danno mandato di proseguire la riforma del contestato Meccanismo europeo di salvaguardia. Di Maio, dopo aver minacciato sfracelli si è accontentato di inserire nel testo qualche parola d'ordine da spendere con i suoi, come «la logica di pacchetto» per tenere insieme il Mes con altre riforme finanziarie dell'Ue, e la garanzia che nulla sarà firmato (a gennaio si arriverà al dunque) senza esame in Parlamento. Un magro risultato a fronte del clamore suscitato. Del resto il leader grillino è ormai in un loop: deve tenere alta la tensione per compattare i suoi intorno a temi identitari, ma non può andare fino in fondo perché non lo seguirebbero.

Una delle faglie che attraversano il Movimento è quella che divide i parlamentari della prima ora, legati ai temi identitari e, spesso, più spaventati da una fine della legislatura. Dall'altra la «seconda generazione», quella che non ha mai fatto militanza. Tra loro anche chi ha meno paura di restare senza paracadute in caso di fine della legislatura. Tra i senatori scelti da Di Maio ci sono anche Elena Fattori e Gregorio De Falco, tra i primi a contestare apertamente il capo politico. Da queste fila arrivano anche altri due «senatori contro»: Luigi Di Marzio (la cui fuga è stata fermata in extremis dal M5s) e Gianluigi Paragone che ha votato contro la risoluzione di maggioranza dopo un sondaggio casereccio su Facebook, ma non lascerà il M5s. Contestazione aperta invece da due avvocati campani, Francesco Urraro, eletto in zona Nola-Portici, già nella bufera per una proposta pro condono edilizio poi ritirata, e Ugo Grassi, che sul Blog delle stelle argomentò giuridicamente la validità della multa da 100mila euro per chi lasciava il Movimento e, una volta entrato in urto con la leadership, disse «non possono chiedere quei soldi». Tutti scelti da Di Maio.

Al gruppo si aggiunge Stefano Lucidi, militante di vecchia data, aspramente contestato dagli altri grillini: «Esco dalla ruota dei criceti e voto no». Lucidi, Grassi e Urraro, dopo il dissenso espresso ieri, sono fuori dal M5s e ieri a Palazzo Madama si sussurrava che l'approdo finale fosse la Lega, ma il Carroccio smentisce, per ora, annunci ufficiali. Più probabile un primo passaggio di «decantazione» nel gruppo Misto. E ieri una battuta di Giorgia Meloni sintetizzava bene quel che sta succedendo al M5s: «Noi siamo quelli che sognavate di essere e non siete riusciti a essere». A condividerla entusiasta tra gli altri Davide Galantino, ex M5s passato a Fdi: «Ora so che sono seduto dalla parte giusta».

La diaspora grillina accelera.

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