Politica estera

"Ti amo". Yulia a Bruxelles nel nome di Alexei

La moglie del dissidente ne raccoglie l'eredità politica. Oggi al Consiglio degli affari esteri Ue

"Ti amo". Yulia a Bruxelles nel nome di Alexei

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Guardando la foto non si pensa alla sua morte, si pensa alla salma che non si trova, ai lividi di cui potrebbe essere coperta, alle botte che forse li hanno procurati. Fa venire in mente che di Alexei Navalny non c'è più niente da toccare. Perché è un'immagine che parla del suo corpo e di ciò che solo per sua moglie quel corpo poteva essere. Lo scatto scelto da Yulia Navalnaya per dire addio al marito è dolcissima. Ma è anche carnale. Lui l'avvolge, la sovrasta, le bacia i capelli. Non ci sono confini fra quelle sagome al buio. «Ti amo» è stata l'unica frase scritta da Yulia sul post. E quella foto racconta esattamente questo. Di una donna che ha perso il suo uomo. Ancora prima del padre dei suoi figli, dell'oppositore, della speranza per il popolo russo. In quell'immagine c'è Yulia che non ha più Alexei sul quale cadere, da abbracciare nel letto, da annusare sul collo.

Raccoglierà forse la sua eredità politica (oggi sarà a Bruxelles al Consiglio Affari Esteri dell'Ue) o forse lo farà sua figlia Daria che ha 23 anni, studia psicologia sociale e scienze politiche a Stanford ed è molto attiva sui social dove si definisce orgogliosamente «figlia di Alexei Navalny».

Ieri però, Yulia ha seppellito la «sua» storia con il «suo» uomo, che era ormai diventato di tutti. Ma il suo corpo no, quello era soltanto di Yulia. Almeno prima che ci si accanissero per zittire la Causa, prima che diventasse il campo di battaglia della difesa della libertà. Prima che lo devastasse il veleno Novichok, che lo scarnificassero le detenzioni inumane, che lo spezzassero la Siberia e la sua aria che scricchiola di gelo. L'immagine racconta che prima del corpo del dissidente esisteva il corpo di suo marito: sano, vitale, fatto per altre cose oltre che per il sacrificio. È stata la mamma di Alexei ad andare a cercarlo, a chiederlo indietro, quel corpo, perché a una madre basta qualunque cosa, purché qualcosa ci sia. Per Yulia il corpo di suo marito era un'altra cosa, era quello che la cinge nella fotografia che la fa sentire protetta anche se forse è l'uomo che più di tutti l'ha messa più in pericolo. Dev'essere difficile doversi ripetere tutti i giorni che quel suo non esserci per scelta non ti rende una seconda scelta. In nome della battaglia si sono privati l'uno dell'altra per la maggior parte del tempo, eppure ancora per l'ultimo San Valentino, qualche giorno fa, Alexei ha fatto in modo di far recapitare un biglietto a Yulia: «A volte mi chiedo come il grande amore che nutro per te possa essere contenuto in un normale cuore umano. Parlo con te tutto il tempo...» c'era scritto, tra le altre cose. Sembrava l'albume di un inizio, invece erano già insieme da ventisei anni (galeotta fu una vacanza in Turchia) e non si vedevano da più di 365 giorni. Perché era una battaglia, quella di Alexei, che esigeva anche il suo corpo. Quello che non è ancora tornato a casa e che conserva il segreto di cosa, alla fine, lo abbia messo a tacere.

Nella fotografia postata su Instagram c'è tutta la vita normale che quasi non hanno avuto ma che hanno saputo avere lo stesso. È uno dei pochi «ti amo» social a cui si crede quello di Yulia perché non può essere diversamente. La libertà è un vicolo stretto: se non fosse stata in grado di sposare ogni cosa di lui, non avrebbe mai potuto sposare Alexei. Che non è stato solo il suo uomo, è stato il modo in cui ha scelto di vivere e di far vivere i loro figli. Perseguitando le paure fino a stordirle.

Con la casa dentro una valigia per continuare ad andarsene dal loro Paese senza mai lasciarlo: la Russia, che è stata l'assassina dei suoi sonni e poi di suo marito.

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