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Toh, anche la Cgil fa mobbing

Licenziata per troppa malattia. La replica: io esaurita da voi

Toh, anche la Cgil fa mobbing

Quando l'Ikea licenziò una dipendente con un figlio invalido, colpevole di non avere accettato i turni che le avrebbero impedito di assistere il bambino, la Cgil fu in prima linea nelle proteste contro la prepotenza del colosso svedese. L'Ikea cercò invano, sommersa dalle contumelie sui social network, di spiegare che il lavoro ha le sue regole, e che in qualche modo i dipendenti vi devono sottostare; altrimenti è un caos. Nemesi: a distanza di una manciata di mesi, è la Cgil a licenziare in tronco una sua dipendente, madre single di cinquant'anni con un figlio a carico, con ricollocazione sul mercato del lavoro ardua se non impossibile. Motivazione ufficiale: «superazione del periodo di comporto», ovvero del periodo massimo di malattia consentita. Peccato che secondo la funzionaria licenziata l'esaurimento nervoso in cui era precipitata fosse figlio del mobbing cui era sottoposta, il demansionamento («mi avevano spedita a fare le fotocopie») messo in atto nei suoi confronti dai vertici della Camera del Lavoro di Milano.

Sono dinamiche cui qualunque capo del personale è avvezzo: la sintonia tra azienda e lavoratore che si spezza, il rapporto di fiducia che viene meno, e alla fine la convivenza diventa impossibile. Spesso il lavoratore vittima di mobbing - vero o presunto - indica il movente dell'azienda nella propria libertà di pensiero, nel suo rifiuto di subire imposizioni. Più o meno lo stesso accade in questo caso: Ketty Carraffa, funzionario della Cgil di Milano, ieri racconta su Facebook che i suoi guai sono figli della «troppa visibilità», perché oltre a dirigere l'ufficio «Diritti delle donne» della Camera del Lavoro andava in televisione, esternava, scriveva libri. Da funzionaria, dice, per questo mi hanno retrocessa a impiegata: «Dopo tutte le battaglie e il mio background professionale e politico, era inaccettabile. A favore di chi, poi? Figli diciottenni di dirigenti... che vadano loro a far fotocopie e non donne come me!!!».

Un anno fa, la bionda Ketty manda il primo certificato medico. Ieri, le arriva la lettera di licenziamento, con buona pace dei suoi cinquant'anni e del bambino a carico.

Come in un'azienda qualunque: o forse peggio.

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