Politica

Toh, ora sale anche lo spread. E arriva la stangata sull'Iva

Molto difficile disinnescare le clausole di salvaguardia sia in caso di elezioni anticipate sia di esecutivo tecnico

Toh, ora sale anche lo spread. E arriva la stangata sull'Iva

La crisi di governo fa rima con clausole di salvaguardia. Se la situazione politica, infatti, non dovesse normalizzarsi e si dovesse andare a elezioni anticipate, è molto probabile che venga a mancare il tempo materiale per la stesura della legge di Bilancio, soprattutto nell'ipotesi di urne aperte a fine ottobre. In tal caso, si procederebbe con l'esercizio provvisorio (ogni mese si spenderebbe un dodicesimo della spesa totale di quest'anno) fino all'ok a una nuova manovra nel 2020.

Resterebbero così in vigore i provvedimenti 2019 che prevedono per l'anno prossimo un aumento dell'aliquota Iva agevolata dal 10 al 13% e di quella ordinaria dal 22 al 25,2% per un gettito atteso a quota 23,1 miliardi. In linea teorica, ci sarebbe il tempo per evitare questa deriva se e solo se dalle elezioni uscisse una maggioranza netta in grado di dar vita a un governo nella seconda metà di novembre e chiudere la sessione di bilancio entro fine anno. Anche perché l'interlocuzione con le istituzioni comunitarie sarebbe resa più complicata dalla presentazione di una Nota di aggiornamento del Def (entro il 27 settembre) e di un Documento programmatico di Bilancio (quello che in nuce contiene la Finanziaria e va portato a Bruxelles entro il 15 ottobre) sostanzialmente privi di contenuti pregnanti.

È ovvio che questa preoccupazione pesi molto nelle valutazione che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sta effettuando. Anche perché il danno reputazionale per l'Italia sarebbe molto alto, soprattutto in sede europea: un Paese con un levato debito pubblico si mostrerebbe incapace di determinare la propria politica economica. E, vista l'aria che tira dalle parti di Palazzo Chigi, anche incapace di indicare il proprio candidato per la Commissione Ue che si formerà sotto la guida di Ursula von der Leyen.

Anche il «piano B» presenta analoghi rischi. Nel caso di un esecutivo di transizione, di minoranza o addirittura tecnico, il successore di Giovanni Tria (o lui medesimo riconfermato nell'incarico), non avrebbe più la necessaria «forza contrattuale» per trattare con Bruxelles lo stop alle clausole di salvaguardia o a un incremento della pressione fiscale. Basti guardare a quanto accaduto ieri allo spread tra il Btp decennale e l'omologo tedesco, salito da 203 a 209 punti con un massimo a 213. L'aumento della spesa per interessi restringerebbe, infatti, i margini di intervento. «Sarebbe difficile far passare qualsiasi altra misura non avendo una maggioranza in Parlamento», ha spiegato Lorenzo Codogno della London School of Economics ed ex capo economista del Tesoro.

Una prima rilevazione della «temperatura» della crisi si avrà oggi con l'asta dei Bot annuali e, soprattutto, con la pubblicazione del giudizio sull'Italia dell'agenzia di rating Fitch. A febbraio gli analisti statunitensi avevano confermato il rating «BBB» con prospettive negative elencando una serie di criticità (debito elevato, debolezza del settore bancario, ecc.) che avrebbero dovuto imporre all'esecutivo un «cambio di passo» che nei fatti, però, non c'è stato.

Mai come in questa occasione la crisi politica giunge in un periodo poco propizio. Un esecutivo «spendaccione» come quello giallo-verde avrebbe potuto giovarsi degli ultimi fuochi d'artificio della Bce targata Mario Draghi che ieri nel Bollettino mensile ha anticipato l'intenzione di tagliare ulteriormente i tassi per contrastare le spinte deflazionistiche. Ma il vero contrappasso è l'apertura della Germania a politiche espansive.

Secondo indiscrezioni, Berlino avrebbe intenzione di mettere in soffitta il pareggio di bilancio per rilanciare con gli investimenti un'economia avvitata.

Commenti