Politica

Trenta giorni a due facce Donald è già in difesa ma l'economia sta volando

Anche nel Partito repubblicano cresce la fronda Il tycoon però può ancora contare sui suoi sostenitori

A esattamente un mese dall'insediamento di Trump alla Casa Bianca, la parola più usata per definire la situazione a Washington è «caos». Al tycoon diventato presidente si rinfaccia di tutto, non solo nei media da sempre schierati contro di lui e nelle file democratiche, ma anche da parte di un certo numero di esponenti repubblicani: scelte sbagliate o troppo partigiane di ministri e alti funzionari, come il già licenziato Capo della Sicurezza nazionale Flynn; misteriosi e inquietanti rapporti con la Russia; continue e pericolose contraddizioni in politica estera; irrefrenabile tendenza ad alterare la verità; pericolosa faida con i media e con il potere giudiziario; improvvisazione e dilettantismo nella formulazione dei (troppi) decreti presidenziali; incapacità di rapportarsi al Congresso per portare avanti la legislazione nell'agenda del partito repubblicano e molto altro ancora. Basti dire che nei giornali si comincia a parlare di impeachment, e addirittura di un esame forzoso delle sue condizioni mentali. Il linguaggio degli opinionisti è ancora più feroce di quello usato contro Nixon ai tempi del Watergate e il suo indice di popolarità è il più basso mai registrato da un presidente nei primi cento giorni.

Nell'alta burocrazia si starebbe coagulando stando al New York Times - una specie di «Stato profondo», che si oppone o addirittura sabota le decisioni dell'esecutivo e alimenta la stampa con continue fughe di notizie atte a danneggiare il presidente e il suo entourage. Cia ed Fbi, dove si annidano ancora molti uomini di Obama, continuano ad indagare su oscuri rapporti che persone del suo clan avrebbero avuto con i russi e ultime notizie - starebbero ora spingendo per «scaricare» l'Ucraina e abolire le sanzioni. La nuova amministrazione incontra anche molte difficoltà a riempire con persone competenti i circa mille posti messi a disposizione dallo spoil system, perfino a livello di sottosegretario, e molte stanze importanti rimangono vuote soprattutto al Dipartimento di Stato.

Con tutto ciò, l'economia va a gonfie vele, l'indice Dow Jones sta battendo tutti i record e nell'America profonda che ha portato The Donald alla vittoria la eco di tutti questi conflitti è modesta: ci sono molte manifestazioni contro di lui, ma i suoi sostenitori continuano a credere nel loro campione e a dire che in fondo si limita solo a mettere in atto quello che aveva promesso in campagna elettorale. E Trump stesso, in una specie di comizio celebrativo tenuto sabato in Florida, ha ricambiato le accuse con gli interessi, rivendicato alcuni reali successi e ribadito la giustezza delle sue decisioni, a cominciare dal discusso bando per i cittadini provenienti da sei Paesi musulmani coinvolti nel terrorismo che tornerà ad emanare nelle prossime ore in una nuova forma atta a superare il veto dei magistrati.

A preoccupare l'establishment (di entrambi i partiti) sono soprattutto i rapporti con il resto del mondo, spesso messi in crisi da tweet imbarazzanti, dalla abitudine, deleteria in diplomazia dove ogni parola pesa, di parlare a braccio, o da telefonate «fuori controllo» con altri capi di Stato e di governo. Per rimediare, tanto il vice presidente Pence quanto i suoi principali ministri (in prima linea il Segretario alla Difesa Mattis, che sta affermandosi come il membro più autorevole del gabinetto) si affannano a tranquillizzare gli alleati sulla fedeltà dell'America alla Nato, sull'infondatezza delle voci di un accordo con Putin alle spalle dell'Europa o sulla ventilata intenzione di abbandonare la consolidata (anche se irrealistica) teoria dei due Stati israeliano e palestinese. Ma l'incertezza rimane, e la speranza che, una volta completata la nuova struttura si arriverà a un maggiore equilibrio rimane, appunto, una speranza.

Nonostante il caos, l'ipotesi che Trump venga «defenestrato» prima della scadenza del suo mandato resta remota. A meno che non scoppi uno scandalo che lo squalifichi in maniera irreparabile, è difficile immaginare che un Congresso controllato dai repubblicani voti con una maggioranza di due terzi per l'impeachment di un suo presidente, per quanto impopolare possa essere. Altrettanto fantasiosa è la possibilità che il gabinetto come prevede la Costituzione dichiari il presidente incapace di svolgere i suoi compiti e il Parlamento ratifichi la decisione. Più verosimile è che il partito repubblicano, in cui i nemici di Trump non mancano di certo, decida che una sua permanenza alla Casa Bianca fino alla scadenza del mandato porterebbe a un trionfo democratico nelle elezioni del 2020 ed eserciti tali pressioni su di lui da indurlo a rassegnare le dimissioni lasciando il posto al vicepresidente Mike Pence, che sta prendendo quota grazie al suo equilibrio e alle sue capacità di mediazione.

Ma è davvero azzardato pensare che un individuo egocentrico come The Donald accetti mai una soluzione del genere.

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