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A Tripoli i combattenti siriani. Ora si teme la guerra globale

Serraj punta al ritiro di Haftar che però non arretra Il vertice di domenica a Berlino rischia di essere un flop

A Tripoli i combattenti siriani. Ora si teme la guerra globale

«A l 100% i siriani già combattono a Tripoli. Li hanno visti e hanno parlato con loro sul fronte di Salahuddin (un quartiere della capitale, nda) a pochi chilometri dal centro» spiega una fonte occidentale del Giornale in prima linea in Libia. Il quotidiano britannico Guardian rivela che sono 2mila uomini, reclutati dai turchi fra i ribelli anti Assad, già al fronte o pronti ad arrivare via Ankara. Non è un caso che ieri, al parlamento europeo, il re di Giordania Abdullah II si sia chiesto: «Che cosa succede se la Libia crolla in una guerra globale e diventa la nuova Siria, ma molto più vicina al continente che voi chiamate casa?».

I veterani della guerra santa in Siria a Tripoli sono l'ennesimo allarme in vista della conferenza di pace di Berlino, che parte in salita. «Le aspettative sono molto basse» ha dichiarato la cancelliera tedesco, Angela Merkel, in vista del summit di domenica, che dovrebbe consolidare la fragile tregua in Libia. Il premier del governo libico riconosciuto dall'Onu, Fayez al Serraj, e il suo mortale nemico, il generale Khalifa Haftar, che assedia la capitale, dovrebbero presentarsi a Berlino. «Ci saranno, ma a parte una foto opportunity si rischia a un buco nell'acqua. Le posizioni sono troppo distanti» spiega la fonte da Tripoli.

Haftar non intende retrocedere di un passo dopo avere conquistato il quartiere di Abu Slim, che gli apre la strada verso il cuore della capitale. Non solo: vuole il disarmo delle milizie filo governative nel giro di tre mesi e non accetta i turchi in alcun ruolo bollandoli come «invasori ottomani».

Dall'altra parte della barricata al Serraj punta al ritiro dell'autoproclamato Esercito libico del generale sulle posizioni precedenti all'attacco del 4 aprile, quando è scoppiata la guerra. In pratica relegato al Sud o addirittura di ritorno a Bengasi abbandonando anche la recente conquista di Sirte. I difensori di Tripoli contano sull'aiuto militare turco, che ha già inviato 35 consiglieri militari promettendo un contingente di 5mila uomini. «Se gli attacchi di Haftar continueranno, la Turchia non si risparmierà dal dargli una lezione» ha annunciato il presidente Recep Tayyip Erdogan.

Nel frattempo i turchi hanno inviato in Libia i loro giannizzeri siriani. Tutti reclutati nel cosiddetto Jaish al-Watani (esercito nazionale) messo in piedi dal Mit, l'intelligence turca, per combattere in Siria soprattutto i curdi. L' «esercito» è un cartello di gruppi, anche di stampo jihadista, come la divisione Sultan Murad, la brigata Mutassim, la divisione Hamza, al-Jabha al-Shamiyyah, Aylaq al-Sham e Suqour al-Sham. Ai siriani verrebbero pagati 1500 dollari al mese e garantita la cittadinanza turca alla fine dell'avventura. I giannizzeri sono inquadrati nell'unità Omar Al Mukhtar, l'eroe libico impiccato dagli italiani nel 1931. L'operazione è fortemente avallata dai Fratelli musulmani che appoggiano e influenzano il governo di al Serraj con l'obiettivo di controllare la Libia. Per questo motivo l'Egitto del presidente Al Sisi, che considera la Fratellanza il nemico mortale, Emirati arabi, Arabia Saudita e Giordania che appoggiano militarmente Haftar, non vogliono che firmi alcun accordo di pace. E dietro questi paesi, legati a filo doppio con gli Stati Uniti, c'è sicuramente lo zampino di zio Sam, che teme di rimanere tagliato fuori da un'eventuale pax russa in Libia. Nelle ultime ore il presidente americano, Donald Trump, ha telefonato a Erdogan, «alleato» nella Nato, proprio per parlare della crisi libica. Ieri anche l'assemblea della Lega araba ha votato contro l'ingerenza turca bollandola come «una violazione del diritto internazionale». I nodi verranno al pettine a Berlino, ma sul terreno la tregua è già stata violata più volte.

Il rischio è che da una speranza di pace si passi allo scontro finale.

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