Donald Trump

Trump, giuramento blindato tra sfarzo zero e piazze calde

Inauguration day con meno giorni di festa, pochi balli e niente lussi. E contestatori che promettono battaglia

Selfie con Donald Trump al Museo delle cere Madame Tussaud's di Londra
Selfie con Donald Trump al Museo delle cere Madame Tussaud's di Londra

Il discorso più veloce lo fece George Washington, padre della nazione, affacciato al balcone della Federal Hall di New York, perché non esisteva ancora la capitale che porta il suo nome: quattro frasi, centotrentacinque parole, in poco più di un minuto battezzò la Terra dei liberi e nulla fu più come prima. Aveva le mani che tremavano. Donald Trump, il 45mo presidente degli Stati Uniti, ha deciso di fare come il primo: stile sobrio, profilo basso, poche parole e sfarzo zero. Tre giorni di celebrazioni invece dei cinque di Obama, tre balli invece dei quattordici di Clinton, un'oretta e mezza di parata sulla Pensylvania Avenue, la strada dei presidenti che porta dal Campidoglio alla Casa Bianca, invece delle tre di Carter che si fece scortare da 150 carri allegorici di nani e ballerine. Dicono saranno molti meno anche gli americani lungo il National Mal, massimo ottocentomila, a rappresentare quaranta organizzazioni dai Boy Scouts ai Veterani di guerra, contro i due milioni radunati da Obama. E molti verranno solo per contestare, dalle femministe della Women's March ai DisruptJ20, più o meno «Metti sottosopra il 20 gennaio» che ha fatto persino le prove per rovinare l'Inauguration Day. Sono 26 i gruppi che hanno chiesto il permesso di manifestare contro Trump, nonostante misure di sicurezza che non si sono mai viste: 30mila agenti in campo e 100 milioni di spesa per proteggere «The President». «Ma sarà un'Inauguration Day molto, molto speciale, molto bello» ha giurato Trump prima di giurare. «The Donald» che, per inciso, ventiquattro anni fa disertò l'incoronazione dei Clinton, una Woodstock in limousine, perché troppo costosa, 38 milioni di dollari, e troppo kitsch per i suoi gusti. Bill e Hillary invece saranno all'incoronazione come da protocollo, e immaginate con che gioia di vivere, così come Bush jr che Trump non l'ha nemmeno votato, poi Carter e Obama che non lo possono vedere. Insomma un bel parterre di musi lunghi.

Il 20 gennaio è il giorno in cui l'America ha due presidenti, come due papi in Vaticano, almeno fino a mezzogiorno in punto, le 18 italiane, quando il nuovo sostuisce il vecchio con una mano sulla Bibbia e trentacinque parole di giuramento «so help me God». Solo nel 1921 fermarono gli orologi perché Harding e Woodrow pasticciarono il cambio della guardia arrivando in ritardo. É la giornata delle lacrime di chi va e delle lacrime di chi viene, le stanze che vengono ridisegnate, gli staff che si salutano, un pezzo di vita di tutti che finisce, ma c'è sempre una nuova America che nasce. Cosa farà Trump nel suo primo giorno da presidente del mondo ancora non si sa: Reagan appena arrivato tagliò il personale, Hillary, da First Lady, si prese la West Wing della Casa Bianca, cuore pulsante del potere, invece della East dove le donne erano sempre state relegate, cioè la home e non la house. Melania non ci abiterà.

Trump giurerà sul Fronte Ovest del Campidoglio, dopo il suo vice Mike Pence, nelle mani del presidente della Corte Suprema John Roberts Junior. Prima, cioè stasera per noi, provvederà a consegnare, con il rigore previsto, una corona d'alloro al cimitero degli eroi di Arlington, vero collante della nazione, che custodisce le vittime di tutte le guerre, con i suoi 400mila ceppi di marmo bianco tutti uguali. Il rito è semplice: pranzo in Campidoglio offerto dal Congresso, il menu lo sceglie Donald e il giorno dopo cerimonia religiosa nella cattedrale di Washington. In mezzo il concerto di benvenuto al Lincoln Memorial. Confermata la presenza della sedicenne Jackie Evancho. A quello di Reagan c'erano Frank Sinatra, Bob Hope e Johnny Carson.

Il discorso, dicono i bene informati, glielo ha scritto Stephen Miller, trentuno anni, californiano, che ha dato parole ai principali discorsi di Trump in campagna elettorale. Si sono ritrovati per limarlo nel resort di Mar-o-Lago, anche durante le vacanze di Natale, anche se il primo discorso del presidente, che dovrebbe dare l'impronta al mandato, è sempre un po' vago, pieno di sani principi e buone intenzioni, raramente tira fuori frasi che restano scolpite per sempre come l'ultramoderno «non chiedete al vostro Paese cosa può fare per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro Paese» di John Fitzgerald Kennedy o il filosofico «non abbiamo niente da temere se non la paura stessa» di Roosevelt che sarebbero perfetti anche per questi tempi depressi e rabbiosi. Madison se la prese con l'Europa in guerra che interferiva con navigazione commerciale americana, Truman con «la falsa filosofia del comunismo», Garfield con la poligamia praticata dai mormoni. Trump ha solo l'imbarazzo della scelta.

Poi tanto il destino crudele e indifferente mescola le carte come gli pare. George W. Bush nei suoi quindici minuti di discorso sotto la pioggia, promise un America compassionevole, meno tasse per tutti e una difesa dei confini più solida e forte.

All'undici settembre mancavano meno di otto mesi.

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