Politica estera

Trump, il processo show è un comizio elettorale. "La pm pagata da Soros"

Il tycoon rischia maxi multa e divieto di operare in città. Lui attacca. Ma la giudice: "Niente propaganda"

Trump, il processo show è un comizio elettorale. "La pm pagata da Soros"

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«Risponda alle domande, questo non è un comizio!». «Questo è un processo ingiusto, spero che il pubblico stia guardando!». «Avvocato, controlli il suo cliente!». È uno degli scambi più accesi tra il giudice Arthur Engoron e Donald Trump, che danno il senso del clima all'interno dell'aula del tribunale di Manhattan, dove è andata in scena l'udienza più attesa. Quella in cui l'ex presidente, imputato per frode commerciale, è stato chiamato alla sbarra per rispondere alle domande dell'accusa. La settimana scorsa era toccato ai suoi due figli maschi adulti, Donald Jr. e Eric, co-imputati, che si erano invece comportati in maniera disciplinata.

Ci aveva pensato il padre, attraverso il suo social Truth, a denunciare la «persecuzione da caccia alla streghe» alla quale erano sottoposti. Un copione che ha tentato di ripetere quando è stato il suo turno in aula, ma al quale il giudice ha ripetutamente cercato di mettere freno, arrivando ad alzare la voce e a minacciarlo di sanzioni. Trump si è presentato in tribunale nel tentativo evidente di trasformare l'udienza in una tappa della sua campagna elettorale, confortato dai sondaggi che al momento lo darebbero vincente su Joe Biden. Ma Engoron non gli ha concesso spazi di manovra retorici e lo ha costretto a rispondere alle domande dell'assistente procuratore Kevin Wallace, che ha passato al setaccio il valore di alcune delle proprietà più celebrate del suo portfolio immobiliare. Il resort di Mar-a-Lago, in Florida: «Ritiene che a oggi valga 1,5 miliardi di dollari?», la domanda; «credo tra il miliardo e il miliardo e mezzo», la replica. O il mitico super-appartamento personale nella Trump Tower, a New York, che secondo il tycoon aveva una superficie di 2.800 mq, ma in realtà è poco più di mille. È questo il fulcro dell'accusa lanciata dalla procuratrice generale Letitia James - «Si vergogni!», ha tuonato Trump contro di lei - una democratica, così come Engoron. E sul suo social Truth ha aggiunto: «Wow! Ho appena scoperto che la procuratrice generale corrotta e razzista Letitia James è stata sostenuta finanziariamente da George Soros». La Trump Organization avrebbe gonfiato illecitamente il valore dei propri asset immobiliari per ottenere migliori condizioni creditizie e assicurative. Una disinvoltura da «furbetti del quartierino» nelle dichiarazioni fiscali e al mercato, che rischia di costare cara a Trump. La Procura chiede una multa da 250 milioni di dollari e la revoca della licenza commerciale a New York, cuore dell'impero. È probabilmente per la consapevolezza della posta in gioco che l'ex presidente, già multato dal giudice per le sue intemperanze verbali a mezzo social, aveva finora assistito, da spettatore, a gran parte delle udienze. Ma quello di imputato-testimone, sotto giuramento, è stato un nuovo passaggio nell'interminabile sequela di disavventure giudiziarie che lo accompagnano fin dal 2016, l'anno della conquista della Casa Bianca.

Un ruolo al quale dovrà invece fare il callo, non appena approderanno in aula tutti gli altri processi nei quali è coinvolto: da quello a Washington per l'assalto a Capitol Hill, a quello in Florida per i documenti top secret sequestrati dall'Fbi, a quello in Georgia, il più insidioso, per il tentativo di sovvertire il risultato del voto del 2020.

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