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Tutte le batoste sui pensionati da Prodi a Conte

I vecchietti italiani in 20 anni hanno perso il 30% del potere d’acquisto. Aiutano i giovani disoccupati o i precari eppure sono dimenticati dallo Stato

Tutte le batoste sui pensionati da Prodi a Conte

In questo Paese soffrono. E non sono i soli. Tartassati, umiliati, sono diventati il bancomat di qualsiasi governo. Quando c’è un buco, quando non si sa dove trovare i soldi per questa o quella manovra ecco che tutti si precipitano su di loro: i pensionati. Colpendo loro, si colpisce un’ampia fetta di popolazione perché, purtroppo, in Italia, le pensioni sono un potente ammortizzatore sociale per i giovani precari e non solo.

Nonostante questo ruolo strategico, i pensionati, sono spesso considerati privilegiati da mungere. È quello che è accaduto con le ultime rilevazioni Istat. Lo studio rivela che le pensioni sono cresciute più degli stipendi. Di qui i titoloni di alcuni giornali. È partita così la caccia al vecchietto ricco che forse vuole preparare il terreno per qualche altro esproprio ai danni della categoria. Negli anni di vessazioni ce ne sono state molte. Lo scrive la Verità.

La più pesante è la mancanza dell’adeguamento totale al costo della vita, la cosiddetta perequazione. Da 20 anni le indicizzazioni delle pensioni sono nel mirino, con l’unico scopo di produrre risparmi. In alcuni periodi le pensioni sono rimaste bloccate, mentre in altri, hanno subito differenti indicizzazioni che hanno tuttavia prodotto una riduzione non più recuperabile. Dal 2000 c’è stata una perdita del potere d’acquisto di quasi il 30%. E nessuno ne parla.

La prima batosta la dà proprio la sinistra. Il governo Prodi per l’esattezza. Nel 1997 azzera la rivalutazione dei trattamenti superiori a 5 volte il minimo, cioè pari agli attuali 1.430 euro circa. L’azzeramento si è protratto con i governi D’Alema e Amato. Dopo una tregua negli anni 2001-2006 (governo Berlusconi), nel 2008, Prodi azzera la rivalutazione delle pensioni oltre 8 volte il minimo. La situazione precipita con i successivi premier Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.

In particolare Monti, con la manovra Salva Italia, blocca la perequazione nel 2012-2013 per i trattamenti superiori a 3 volte il minimo (riconoscendola perciò nel 2012 solo per quelle fino a 1.405,05 euro mensili, mentre nel 2013 solo per quelle fino ad 1.443 euro). Poi arriviamo al governo di Giuseppe Conte. "L’avvocato del popolo" decide di colpire i trattamenti superiori a 5 volte il minimo. L’Inps ha quindi dovuto chiedere il rimborso di quanto versato. L’ultima parola l’ha scritta la legge di bilancio: rivalutazione, sì, ma di 53 centesimi lordi al mese per pensioni tra 3 e 4 volte il minimo. Una mancetta inutile. Una miseria che puzza di presa in giro.

Tra le misure a scapito dei pensionati c’è il contributo di solidarietà su cui si sono sbizzarriti diversi governi con la motivazione di colpire i nonni ricchi e quindi privilegiati. Il prelievo adottato anche con la scorsa legge di Bilancio, è a carico di assegni superiori a 100mila euro. Anche nelle tasse sulla casa, i pensionati vengono colpiti senza pietà. La Tari è calcolata in base alla superficie dell’immobile e ai componenti del nucleo familiare. Quindi penalizza quegli anziani che hanno ereditato un appartamento grande, dove vivono da soli.

Sempre in tema di fisco, i pensionati hanno un’Irpef più pesante dei lavoratori dipendenti. Con la riduzione del cuneo fiscale, previsto dalla legge di Bilancio 2020, un impiegato con 35mila euro di reddito verserà 8mila euro di Irpef, cioè il 23% del suo reddito, mentre un pensionato pagherà 8.972 euro, pari al 25%. Sono stati esclusi dal bonus Renzi di 80 euro, destinato ai lavoratori dipendenti, che è stato portato a 100 euro. Un lavoratore con un reddito fino a 12.500 euro, con il bonus da 100 euro si trova ad avere un’aliquota negativa che diventa zero a 12.509 euro. Se questa stessa cifra la dichiarasse un pensionato dovrebbe versare allo Stato 1.300 euro, pari al 10,73% del suo reddito.

Un’altra penalizzazione è sul ticket sanitario dal quale sono esenti solo le pensioni minime (515 euro), quelle sociali (460 euro) e i redditi degli over 65 entro circa 36mila euro. Infine l’assegno di reversibilità. Ridurlo è sempre stata una grande tentazione. Ci riuscì Lamberto Dini che lo agganciò a tre fasce di reddito. La riforma è in vigore ancora oggi.

E non è una buona notizia.

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