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Il tycoon stacca tutti ma il 1° marzo si vota in 14 Stati. Rubio e Cruz sperano ancora

Valeria RobeccoNew York Donald Trump mette a segno una tripletta grazie al nuovo successo nello stato del Nevada, dopo New Hampshire e South Carolina, questa volta incassando quasi la metà delle preferenze degli elettori repubblicani. Nei caucus del Silver State il tycoon newyorkese ha dominato sugli avversari con il 45,9% dei voti, staccando di oltre venti punti il senatore della Florida Marco Rubio, secondo con il 23,9%, e l'ultraconservatore Ted Cruz, con il 21,4%. La sua è stata una vittoria travolgente: Trump è riuscito a incanalare la rabbia dei cittadini contro l'establishment del Grand Old Party, conquistando quasi tutte le categorie di elettori. Inclusi i latinos, nonostante la sua linea dura sull'immigrazione. Il re del mattone veleggia con il vento in poppa anche per quanto riguarda il numero dei delegati: dei 1.237 necessari per aggiudicarsi la nomination, Trump ne ha ottenuti 81, mentre Rubio e Cruz sono in parità a quota 17. Per diversi osservatori sarà il Super Tuesday, il primo marzo in cui si vota in 14 stati - soprattutto del Sud - a segnare il declino del miliardario, ma lui non sembra preoccuparsi e al suo pubblico raccolto per festeggiare dice: «Possiamo vincere la nomination in meno di due mesi. Abbiamo conquistato i giovani, conquistato gli anziani, le persone con un'alta educazione e gli ignoranti. Io amo gli ignoranti», esulta davanti ai fan in delirio. Poi, ribadisce: «Manterremo Guantanamo e costruiremo il muro con il Messico». Al distacco di Trump, che cresce di primaria in primaria, si aggiunge un duello quasi ad armi pari tra i suoi due inseguitori. Il senatore della Florida Rubio, per la seconda volta medaglia d'argento, è ormai considerato il candidato appoggiato dall'establishment del partito, e ha già ereditato molti dei voti di Jeb Bush. Mentre l'ultraconservatore Cruz, che lo segue a un soffio, continua a proporsi come il vero anti-Trump, e facendo leva sul successo ai caucus in Iowa sottolinea che «nessuno ha mai conquistato la nomination senza aver vinto almeno in uno dei primi tre Stati a votare». Il senatore del Texas continua a raccogliere consensi: gli analisti sostengono che non si ritirerà mai prima della convention di Cleveland, e anche nel caso lo facesse, il suo elettorato evangelico preferirebbe astenersi piuttosto che appoggiare qualcun altro. I due inseguitori di Trump potrebbero inoltre spartirsi un eventuale (e prossimo) ritiro degli altri due candidati rimasti, l'ex chirurgo Ben Carson, più vicino ai conservatori, e il governatore dell'Ohio John Kasich, più in linea con i moderati. L'establishment del partito continua però a puntare su Rubio, sperando che il Super Tuesday, con 595 delegati che verranno assegnati proporzionalmente, possa imprimere una svolta di segno opposto alla galoppata del magnate. Altre tappe fondamentali, e probabilmente decisive, saranno quelle del 15 marzo nei quattro stati-chiave di Florida, Ohio, Missouri e Illinois, con in palio 671 delegati, stavolta assegnati col metodo del winner-take-all, chi vince piglia tutto. Comunque vadano le cose, un primo risultato importante Trump lo ha già ottenuto, scardinando la macchina del partito repubblicano, incapace di elaborare una valida strategia di contrasto allo scomodo candidato anti-sistema.

Il partito non solo non è stato in grado di contenere il tycoon né di proporre un'alternativa efficace, ma soprattutto non riesce a pilotare l'elettorato verso il suo prescelto.

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