Politica

Usa: «Aiuti militari a Israele» Per placare l'alleato sull'Iran

L'obiettivo è di tenere a bada l'ira di Netanyahu per l'accordo Il ministro della Difesa Carter a Gerusalemme la prossima settimana

L'accordo siglato martedì dalle potenze internazionali e Teheran sul programma nucleare iraniano già dopo poche ore di vita altera gli equilibri e i disequilibri della regione mediorientale e ha effetto su alleanze decennali. I rapporti tra Stati Uniti - promotori principali dell'intesa - e il governo israeliano di Benjamin Netanyahu si erano già raffreddati negli anni passati. La firma di martedì ha dato un ulteriore colpo al rapporto. Il tabloid israeliano Israel ha-Yom ha parlato di «Giorno della vergogna». Il quotidiano più diffuso, Yedioth Ahronoth , ha titolato: «Il mondo si è arreso all'Iran». E se Netanyahu ha subito parlato di «errore storico» e ha dichiarato che il testo contiene «assurdità», soprattutto nelle lunghe tempistiche delle ispezioni internazionali alle istallazioni atomiche iraniane, non è soltanto la destra israeliana a ritenere l'intesa uno sbaglio.

Il capo dell'opposizione laburista, Isaac Herzog, ha dichiarato che partirà nelle prossime settimane alla volta di Washington per spiegare ai politici americani quali sono le preoccupazioni israeliane. Intanto, per placare l'alleato storico, è già in programma per la settimana prossima una visita a Gerusalemme del segretario per la Difesa americano, Ashton Carter, pronto a discutere con i leader israeliani un «pacchetto concreto» di aiuti militari, mentre l'ambasciatore americano Dan Shapiro ha minimizzato le tensioni, definendole «dissensi ragionevoli fra alleati».

Nella regione, Israele non è solo nella sua inquietudine. Lo scetticismo con cui nei mesi passati ha guardato alla possibilità di un accordo l'ha avvicinato alle posizioni di Paesi storicamente nemici, che non riconoscono la sua esistenza e con cui non ha relazioni diplomatiche. Tra questi, ci sono l'Arabia Saudita e i potentati del Golfo, regimi e monarchie sunnite che guardano a un Iran economicamente più forte per la fine delle sanzioni con preoccupazione.

Riad ha dichiarato nelle scorse ore che Teheran dovrebbe utilizzare le future rendite economiche per migliorare la vita degli iraniani, «piuttosto che usarle per creare instabilità nella regione, un'eventualità che creerebbe una decisiva reazione delle nazioni dell'area». Il riferimento esplicito è al sostegno finanziario e logistico che Teheran concede ai ribelli Houthi in Yemen contro il regime locale. L'Arabia Saudita è impegnata in un'operazione militare contro quelle milizie. Secondo il Times di Londra, inoltre, fonti interne al governo saudita avrebbero definito «molto pericolosa» l'intesa e i vertici politici starebbero pensando, come già avevano minacciato in passato, a un proprio programma nucleare. Altri governi sunniti negli anni scorsi - Egitto e Giordania - davanti all'espansionismo atomico dell'Iran, avevano preso posizioni simili.

Il Consiglio di Sicurezza voterà sull'intesa di Vienna la settimana prossima e al pubblico interno il ministro degli Esteri iraniano Mohammed Javad Zarif ha già detto che le Nazioni Unite sono pronte a riconoscere il diritto all'arricchimento dell'uranio del Paese, che ha celebrato con feste e manifestazioni l'intesa. I membri negoziatori del 5+1 - i Paesi del Consiglio di Sicurezza più la Germania - e i loro partner internazionali intanto guardano con soddisfazioni all'accordo costato 20 mesi di trattative. Secondo l'Alto rappresentante per la Politica estera europea, Federica Mogherini, l'Unione europea ha «un grande interesse in quello che accadrà da adesso in poi», e l'Europa è «uno dei beneficiari maggiori di questo accordo, positivo per tutto il mondo», anche per le aperture economiche. Il primo a volare a Teheran sottolineando le potenzialità per «le aziende transalpine» sarà il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius. A beneficiare dell'intesa, apparentemente, anche il difficile rapporto tra Stati Uniti e Russia, divisi dalla questione ucraina: «La Russia è stata d'aiuto - ha spiegato in un'intervista al quotidiano New York Times Barack Obama - Devo essere onesto, non ne ero sicuro viste le differenze sull'Ucraina».

Ha poi aggiunto di essere stato sorpreso dal presidente Vladimir Putin.

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