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Va smantellato quell'impianto da cospirazionisti

La mentalità cospirazionista è quella visione del mondo per cui un evento possiede un'unica spiegazione, ed è sempre dovuto al disegno di un gruppo che lo crea e ne trae vantaggio

Va smantellato quell'impianto da cospirazionisti

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La mentalità cospirazionista è quella visione del mondo per cui un evento possiede un'unica spiegazione, ed è sempre dovuto al disegno di un gruppo che lo crea e ne trae vantaggio. L'azione che ha portato al realizzarsi dell'accadimento deve però restare segreta, tutti devono credere che il fatto sia stato prodotto da altre cause, mentre invece solo lo scopritore del «complotto» sa la verità, da trasmettere ai suoi adepti. Dalle teorie sull'11 settembre a quelle sul Covid come «grande reset» dei no vax fino ai QAnon statunitensi, questa è l'epoca dei complottismi, anche se il primo della serie fu il gesuita francese Augustin Barruel a fine XVIII secolo, che spiegò la rivoluzione francese come un complotto della massoneria. Una premessa, questa, necessaria, per lamentare che tracce di tale mentalità le ritroviamo anche nei luoghi più insospettabili. Ad esempio, nelle ipotesi investigative della procura di Firenze che, investitasi dal compito di revisionare la storia del nostro paese, pare voglia dimostrare che Forza Italia nacque su pressione di Cosa nostra, che Berlusconi e dell'Utri svolsero un ruolo nelle stragi del 1993 e che poi, l'anno successivo, il Cavaliere, e i suoi alleati, Fini, Bossi e Casini (ma c'erano già Tajani, Giorgetti, Urso, Calderoli, solo per citare i ministri attuali) avrebbe vinto grazie a un complotto della mafia. Ora, il direttore di questo giornale e lo storico della mafia, Salvatore Lupo, hanno già smontato, dal punto di vista fattuale, questa bizzarra interpretazione. Che sembra appunto materiata da una retorica e da una logica di tipo cospirazioniste. E vogliamo allora chiedercene le ragioni. La prima, quella più ovvia, sta nella predisposizione, per utilizzare un eufemismo, di una parte della magistratura a rincorrere il Cavaliere. Il fatto che, nel frattempo, sia passato a miglior vita è tutt'altro che un problema perché, come nell'ancien régime, si tende a processare anche il defunto. Tanto più che, se la tesi accusatoria venisse accolta, verrebbe coinvolto inevitabilmente anche l'attuale governo. Ma c'è una seconda spiegazione, più sottile. Una parte del paese, come si è visto subito dopo la scomparsa di Berlusconi, non ha ancora compreso le ragioni della sua vittoria e del suo consenso. Nel 1994, e poi per qualche anno, furono imputate le televisioni, ma ai più acuti della sinistra pareva già una spiegazione superficiale. Quando non si capisce un evento, complesso e multiforme come tutti quelli della storia, allora tende a scattare la mentalità cospirazionista, il Grande Vecchio: che, in questo caso, sarebbe Totò Riina, creatore politico di Berlusconi.

Roba fantasy. Resta infine da notare quanto tutto ciò non sarebbe possibile se, nel nostro ordinamento, non fossero presenti fattispecie di reati «emergenziali», come quello di concorso esterno in associazione mafiosa. Che fin da subito fece nascere nei più acuti giuristi varie perplessità, taciute perché il paese viveva appunto una emergenza, l'attacco della criminalità organizzata allo Stato.

Non sarebbe allora il momento di rivedere questo reato? E' auspicabile però che tutta la magistratura ragionasse secondo paradigmi razionali e popperiani, e non come adepti di QAnon.

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