Politica estera

Vandali e tafferugli. La rivolta francese ha già contagiato Belgio e Svizzera

Seconda notte di scontri e fermi a Bruxelles, primi episodi di violenza anche nella tranquilla Losanna. Il messaggio di ribellione dei giovani viaggia sui social media. E inizia a preoccupare tutta l'Europa

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In Francia, a voler essere cinici, per via di un'antica tradizione che affonda le sue radici nella Révolution del 1789, ogni occasione è buona per protestare nelle strade. Non è un caso se il Sessantotto è cominciato a Parigi, e se di recente le piazze francesi si sono riempite per molti giorni di cittadini più o meno giovani per contestare l'annunciata modifica dell'età per andare in pensione, dopo che per anni i cosiddetti «gilet gialli» avevano messo le medesime piazze a ferro e fuoco per tutt'altre ragioni, e prima di loro i «no logo», gli ecologisti arrabbiati, gli anti europeisti rossi e bruni eccetera eccetera. Se poi aggiungiamo a questa tradizione contestataria la peculiarità di periferie affollate di immigrati mal sopportati e mal integrati, la bomba molotov dei disordini sociali Oltralpe è sempre pronta a scoppiare e ad appiccare incendi.

La Francia, insomma, la conosciamo. E ci spieghiamo anche lo sconfinamento di disordini simili nel vicino Belgio, dove certe condizioni della società (popolosi quartieri ormai islamizzati, in cui perfino la polizia entra malvolentieri, circondano la borghesissima capitale Bruxelles) ricalcano quelle francesi. Ma come spiegarsi, ad esempio, le violenze registrate nella Svizzera francese, in città mortalmente tranquille come Ginevra o Losanna? Il punto in comune può essere la facilità con cui certe azioni violente, messe in atto per lo più da giovanissimi, possono essere organizzate grazie ai social; e anche, se vogliamo, il bisogno di tanti adolescenti di dare sfogo alle loro energie, poco importa quale sia il pretesto. La Svizzera, ci si perdoni il luogo comune, è noiosa, e spaccare vetrine strillando qualche slogan importato dalla vicina Francia può essere un diversivo, far impennare l'adrenalina nelle vene.

La Confederazione è un termine di paragone che ci dimostra che in un mondo iperconnesso nessun Paese è al riparo dal caos urbano: solo le dittature sfuggono, pensiamo a Russia e Cina dove il potere controlla maniacalmente i social e la vita quotidiana delle persone, e dove comunque l'apparato repressivo ha le mani incomparabilmente più libere. Non parliamo nemmeno di posti da incubo come Iran o Cuba, dove manifestare richiede ben altro coraggio che in Francia, viste le conseguenze che può comportare: basti pensare alle centinaia di giovani donne iraniane ferite agli occhi dai cecchini della polizia, tra l'altro nel sostanziale disinteresse dell'opinione pubblica occidentale intenta ad autoflagellarsi agli ordini dei profeti del politicamente corretto.

È però giusto notare che il ciclico dilagare della violenza giovanile nelle strade di diversi Paesi europei ha anche a che vedere con la scarsa capacità della politica di rispondere a un'inquietudine che non è solo identica a se stessa generazione dopo generazione, ma è anche generata da fattori obiettivi dell'attualità, come la percezione di insicurezza per il futuro legata al venir meno di garanzie di benessere sottoscritte dallo Stato (il lavoro disponibile, le prestazioni sociali, le famose pensioni...) e dallo scricchiolare inquietante degli equilibri sociali favorito da un'immigrazione che si affolla in ghetti ormai sempre pronti a esplodere.

Più che a rispondere a queste inquietudini, la politica (non solo francese) tende a strumentalizzarle. A destra agitando lo spettro dell'invasione aliena cui contrapporre un nazionalismo vociferante e muscolare, a sinistra cavalcando i sensi di colpa buonisti della borghesia bohemienne e il vittimismo, ora lamentoso ora aggressivo, dei diseredati delle immense periferie.

Ma chi si aspetta risposte più valide dal centro resta deluso dall'esempio che in Francia fornisce Emmanuel Macron: il quale, dando un colpo al cerchio della buona società moderata che chiede ordine e uno alla botte degli eterni adolescenti della Grande Marcia di kunderiana memoria, non cava di fatto un ragno dal buco.

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