Cronache

"È il videogame della rabbia" E scatta la fuga da Twitter

L'ultima ad andarsene è il premio Pulitzer Haberman In Italia un tweet su 3 è contro migranti, ebrei e islam

"È il videogame della rabbia" E scatta la fuga da Twitter

D ick Costolo, amministratore delegato di Twitter fino al 2015, sintetizzava il problema così: «Facciamo schifo a gestire abusi e account falsi, e abbiamo fatto schifo per anni». I numeri, in effetti, non gli danno torto: in Italia un tweet su tre è catalogabile come hate speech, cioè incitamento all'odio. In barba alla credenza per cui il social network dei 280 caratteri sarebbe più elitario e moderato di Facebook (che ha anche 2,2 miliardi di iscritti, contro i 330 milioni di Twitter).

L'ultima a decidere di abbandonare la nave dei cinguettii, stanca di doversi barcamenare ogni giorno tra insulti e attacchi personali, è la giornalista premio Pulitzer Maggie Haberman. Corrispondente dalla Casa Bianca per il New York Times, vincitrice dell'ambito premio nel 2018 per i suoi articoli sul Russiagate, ha spiegato le sue ragioni in un editoriale pubblicato sul quotidiano newyorchese. «La cattiveria, la rabbia faziosa e tossica, la disonestà intellettuale e il sessismo sono arrivati a un punto di non ritorno. Ormai Twitter è il posto in cui chi è arrabbiato per i suoi legittimi motivi viene a sfogare la propria ira», ha spiegato Haberman. Che domenica sera, dopo 9 anni e 187mila tweet, ha detto addio al suo account. «Mi prendo una pausa da questa piattaforma, che non aiuta per nulla il dibattito», ha scritto un'ultima volta sul suo profilo. La giornalista è stata una fan convinta del social network, su dice di aver conosciuto amici e ricevuto dritte. Ma ormai il tempo trascorso a giustificare ogni opinione, ogni singola frase dei suoi pezzi, era troppo. «Twitter è diventato il videogioco dei rabbiosi - ha chiosato nell'editoriale - È l'unica piattaforma su cui la gente si sente libera di dire cose che di persona non direbbe mai». Il Ceo di Twitter, Jack Dorsey, non ha potuto che darle ragione. Ha definito quelle di Haberman «critiche giuste», aggiungendo che il social network cercherà di focalizzarsi di più sulle «dinamiche conversazionali», per diventare un luogo dove confrontarsi sia possibile.

A ripulire la piattaforma dagli account fake e dai troll, cioè da quei profili solitamente anonimi il cui unico obiettivo è provocare e fomentare le zuffe, Twitter ci sta provando. Tra maggio, giugno e l'inizio di luglio, come svelato dal Washington Post, il social network fondato nel 2006 ha sospeso 70 milioni di account, più di un milione al giorno. In gran parte si tratta di bot, cioè utenze automatiche programmate per diffondere bufale o incitare all'odio, ma a essere «bannati» sono stati anche profili falsi, inattivi o bloccati. L'inattesa purga ha portato molti a chiedersi perché il numero dei loro follower fosse diminuito. Il presidente Usa Donald Trump, ad esempio, ha perso 300mila seguaci. La più colpita, la cantante Katy Perry, ne ha persi più di 2,8 milioni in un giorno solo. Ma, se da un lato i numeri riportati dal Washington Post sono rassicuranti, dall'altro hanno sollevato qualche dubbio su quanti siano effettivamente i «profili spazzatura» che cinguettano. L'azienda aveva stimato che meno del 5% degli utenti attivi fossero profili finti e meno dell'8,5% bot, ma le cifre potrebbero essere più alte.

D'altronde, solo guardando in casa nostra, più di un italiano su tre usa Twitter per sfogare il proprio malessere. Presi di mira in particolare sono migranti, ebrei e musulmani, come emerge dalla Mappa dell'Intolleranza 2018 realizzata da Vox-Osservatorio Italiano sui diritti in collaborazione con la Statale e la Cattolica di Milano, l'università di Bari e La Sapienza di Roma. Il trend è in crescita: se nel 2017 i «tweet dell'odio» erano il 32,45% del totale, nel 2018 si è passati al 36,93%.

Ma fomentare le divisioni in rete spesso serve a fini politici, come dimostrato dalle presidenziali Usa del 2016: è stato proprio dopo la notizia delle presunte interferenze russe che Twitter si è deciso a procedere con le pulizie generali. Una vera e propria fabbrica di troll è stata scovata dal Guardian a Jakarta, Indonesia: il Paese tra poco andrà a elezioni e uno dei candidati ha assunto una schiera di studenti a 280 dollari al mese - paga remunerativa per gli standard locali - per rilanciare contenuti a lui favorevoli e dare addosso agli avversari. In un giorno sono circa 2.400 i tweet generati. E non è escluso che anche gli altri candidati abbiano i loro «spammatori» personali.

Come a dire: gli sforzi di Twitter sono nobili, ma è come svuotare il mare con un cucchiaino.

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