Politica

Per la prima volta l'Europa costretta a discutere una strategia italiana

La vera svolta è aver preso l'iniziativa con un piano autonomo

Per la prima volta l'Europa costretta a discutere una strategia italiana

Da rassegnati e asserviti bagnini dell'Unione Europea a resuscitati attori politici pronti a contrapporci all'indifferenza e all'arroganza di Parigi e Berlino. Certo non abbiamo ancora vinto nessuna battaglia, ma li abbiamo costretti a scendere in trincea. E lo si capisce dallo scoramento con cui a tarda serata Emmanuel Macron e il suo alleato spagnolo Pedro Sanchez ammettono di non aver raggiunto nessuna intesa, ma di essersi misurati con una proposta italiana «coerente». Mentre la Merkel si trincea dietro un'enigmatica frasetta sulle «responsabilità di tutti». Attenzione nei prossimi giorni cercheranno sicuramente di riportarci al ruolo di partner remissivi ed obbedienti a cui li avevano abituati i governi Renzi e Gentiloni. Però la differenza tra l'Italia degli ultimi 4 anni e quella presentatasi al pre-vertice di Bruxelles convocato in vista del Consiglio Europeo del 28 e 29 giugno è sostanziale. Per la prima volta ci presentiamo in Europa con un programma in dieci punti strutturato e concreto. Un piano incentrato sulla necessità di spostare in Libia, e negli altri paesi di transito, la lotta al traffico di uomini aprendo centri di accoglienza dove sia garantita la protezione dei migranti e la cernita fra chi ha diritto a raggiungere l'Europa con mezzi sicuri e chi invece deve rientrare ai paesi d'origine perché privo dei requisiti per l'asilo. Ancora più rivoluzionario è il rovesciamento del Trattato di Dublino. «Chi mette piede in Italia mette piede in Europa», spiega ai partner europei il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Un concetto sbalorditivo rispetto alla passività con cui l'Italia ha sempre accettato le regole che c'impongono, in quanto paese di primo arrivo, il dovere di espellere o tenerci, vita natural durante, tutti i migranti privi del diritto all'asilo. Adesso, invece, l'Italia dice «no» e pretende che tutti i migranti, regolari e non, sbarcati sulle sue coste vengano immediatamente distribuiti nelle altre nazioni europee delegando a Bruxelles il compito di accoglierli o rispedirli ai paesi d'origine. Una redistribuzione basata su numeri comunque assai più contenuti grazie allo spostamento in Libia dell'azione di contenimento e rimpatrio. Come ha dimostrato il protrarsi del vertice, la nostra inattesa fermezza ha aperto un duro dibattito guidato soprattutto da quel Macron diventato il portabandiera delle posizioni anti-italiane. Anche su questo il piano presentato da Conte ha fatto chiarezza, evidenziando l'ipocrisia e l'arroganza dei nostri partner. L'ipocrisia di una Angela Merkel che dietro la formuletta apparentemente innocente dello stop ai «movimenti secondari» nasconde il tentativo d'imporci il rientro in Italia di tutti i migranti sbarcati sulle nostre coste, ma sgusciati - attraverso le maglie larghe di Schengen - dentro i confini di Berlino. E l'arroganza di un Macron spudorato al punto da proporre di toglierci la sovranità territoriale sui centri di accoglienza affidando a Frontex la responsabilità di scegliere i pochissimi migranti destinati a partire per altri lidi europei e i tantissimi destinati a restare da noi. Ma per fortuna stavolta non abbiamo fatto come nel 2014 quando il governo Renzi - non pago d'aver accolto 170mila migranti in 12 mesi - si disse pronto ad accogliere per sempre tutti i disgraziati ripescati nel Mediterraneo. Stavolta per la prima volta abbiamo reagito. Ma la vittoria resta lontana.

E la prima grande battaglia arriverà da qui a tre giorni nelle sale ovattate, ma assai ostili del Consiglio Europeo.

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