Politica

Povero Sandri e povera Polizia

Con la sentenza emessa ieri sera la Corte d’assise di Arezzo ha commesso una duplice ingiustizia.
La prima ingiustizia, evidente, è nei confronti di Gabriele Sandri, che è morto ammazzato, e dei suoi familiari che sono rimasti a piangerlo. L’agente Luigi Spaccarotella è stato condannato a soli sei anni per omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. Non siamo così esperti del diritto per stabilire se fosse più giusta la configurazione dell’omicidio volontario, così come aveva chiesto il pubblico ministero. Ma oltre agli articoli del Codice e alle loro infinite interpretazioni esiste un buon senso. E il buon senso è sufficiente per comprendere che sei anni sono pochi; tanto più in un Paese come l’Italia, nel quale quando si è condannati a sei anni si esce di galera, se va male al reo, dopo più o meno un anno e mezzo.
Quel che l’agente Spaccarotella fece l’11 novembre 2007 è a dir poco assurdo. Non sappiamo se alla stazione di servizio nella quale si consumò il dramma ci fu davvero, come da versione dell’agente, una rissa. Ma sappiamo che, anche se una rissa ci fu, questa era terminata; l’auto di Sandri e dei suoi amici stava ripartendo; e il poliziotto sparò ad altezza di finestrino da una corsia all’altra, rischiando di colpire anche altri passanti. Per definire un simile comportamento non troviamo parole più efficaci di quelle pronunciate dall’avvocato di parte civile: «Un’azione da folle, ma lucida». Spaccarotella era lucido perché si rendeva perfettamente conto di sparare in mezzo a un’autostrada con altissime probabilità di colpire qualcuno; e folle perché un gesto del genere, tanto più se a compierlo è uno del mestiere, non sta né in cielo né in terra.
Ma la seconda ingiustizia, anche se può sembrare bizzarro dirlo in questo momento, è nei confronti della Polizia.
Tutta questa vicenda, infatti, è stata fin da subito trasformata, dall’intero mondo del cosiddetto «tifo organizzato», in un processo non alla singola persona di Luigi Spaccarotella, ma all’istituzione-Polizia. Allo stesso modo si è fatto passare che anche la vittima non fosse una singola persona (Gabriele Sandri) ma le «curve» del tifo calcistico di tutta Italia.
Ripetiamo, Sandri è morto in seguito al gravissimo errore di un poliziotto: ma tutto accadde in una stazione di servizio di un’autostrada, il calcio non c’entrava nulla, il tifo organizzato men che meno. Eppure la morte di «Gabbo» è diventata un pretesto per alimentare il malato e non innocente vittimismo di cui amano nutrirsi gli estremisti delle curve. La sera stessa del dramma, bande di ultras di tutta Italia (non solo i laziali, quindi) assaltarono caserme di Polizia e Carabinieri lanciando molotov, distruggendo auto in sosta, seminando il terrore in interi quartieri di molte città. Li si lasciò agire, facendo sottintendere un senso di colpa collettivo, da parte delle forze dell’ordine, che non aveva motivo di essere. Il nome e il volto di Gabriele Sandri sono poi stati strumentalizzati per mesi e mesi - fino a ieri nell’aula di giustizia di Arezzo - da «tifosi» di tutta Italia che da quella morte hanno cercato di trarre giustificazione della propria arroganza e delle proprie violenze.
I giudici della Corte d’assise avevano la possibilità di estirpare alla radice tanta strumentalizzazione, ribadendo l’elementare principio secondo il quale la responsabilità penale è personale, e punendo Spaccarotella come sarebbe stato punito qualsiasi comune cittadino che si fosse messo a sparare da una parte all’altra di una strada. Con questa sentenza che sa tanto di scappatoia hanno dato invece l’impressione che l’imputato fosse appunto non un singolo, ma l’intera Polizia; e la Polizia merita un occhio di riguardo. I sei anni per omicidio colposo assomigliano molto a certe sentenze che parlano di agenti che scivolano e di colpi che partono «accidentalmente». A farne le spese, paradossalmente ma non troppo, sarà proprio la Polizia.

Soprattutto i poveri agenti che si troveranno la domenica sotto curve popolate da dementi che godono già di fin troppa impunità, e che non aspettano altro che nuovi pretesti per colpire.

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